pirateria informaticaStory of my piracy (storia della mia pirateria): questo è il titolo del video che un uomo conosciuto solo come Jakub F ha dovuto produrre e pubblicare su Youtube dopo essere stato condannato per pirateria informatica in Repubblica Ceca. Jakub è stato condannato a tre anni di carcere sospesi con la condizionale e a una multa di 5,7 milioni di corone ceche, oltre duecentomila euro. Ma Jakub F non sarebbe mai riuscito a pagare quella multa, quindi le compagnie coinvolte nel processo per pirateria informatica tra cui Microsoft, HBO Europe, Sony Music e 20th Century Fox gli hanno proposto un accordo, che Jakub ha accettato. Le compagnie avrebbero chiesto una somma di denaro molto più bassa, che Jakub avrebbe potuto pagare, e in cambio lui avrebbe dovuto produrre un video di scuse e di accusa contro la pirateria informatica, nel quale avrebbe avvertito ogni altro pirata dei rischi legati al crimine. L’accordo prevedeva anche che, se il video non avesse raggiunto le duecentomila visualizzazioni entro due mesi, Jakub avrebbe dovuto pagare interamente la multa. A meno di un mese dalla pubblicazione il video ha ormai superato il milione di visualizzazioni e Jakub ha quindi dovuto pagare solo la multa ridotta.

Una misura efficace contro la pirateria informatica?

Viene naturale chiedersi quanto siano efficaci misure come il video di Jakub contro la pirateria informatica. Il messaggio principale è che non bisogna scaricare/comprare illegalmente film, musica, software ecc., perché altrimenti si è scoperti e condannati; quindi, la paura della punizione dovrebbe scoraggiare i pirati informatici. Ma il timore di un severo provvedimento raramente scoraggia dal commettere un crimine, specie riguardo la pirateria informatica, perché i casi di coloro che sono scoperti e condannati sono rari e sporadici, anche se le pene sono molto, forse troppo, severe.

Così si può arrivare all’idea della pirateria informatica per “vendetta”, come atto di sabotaggio contro le compagnie che impongono prezzi troppo alti, che non sanno come contrastare la pirateria e che di tanto in tanto perseguitano un “pesce piccolo” cercando di trasformarlo in esempio per scoraggiare il fenomeno e continuare a imporre prezzi esagerati per incrementare i propri profitti.

Sarebbe meglio tentare di trasmettere il messaggio che non si deve “piratare”, non per timore della punizione, ma perché il prezzo che si paga per i contenuti protetti da diritto d’autore è il corrispettivo del lavoro che c’è dietro quei contenuti. Ad esempio, per un software è il valore di mercato di chi quel software lo ha sviluppato e vorrebbe vivere del proprio lavoro.

Ma una soluzione del genere presupporrebbe un atteggiamento più comprensivo e meno vendicativo da parte delle aziende, che potrebbero magari anche abbassare i prezzi per rendere più convincente l’alternativa legale e ottenere la volontà, da parte degli utenti, di pagare il lavoro altrui.