Treno dell’orrore, teatro di speranza
Il 28 gennaio alcune classi quinte del nostro istituto si sono recate al Supercinema di Castellammare di Stabia per assistere allo spettacolo teatrale “Ultima fermata, chi è di scena!”, all’interno di un’iniziativa per il Giorno della Memoria. In modo molto originale, il regista Christian Izzo ha voluto sottolineare che il dramma delle deportazioni volute dal regime nazista non colpì solo gli ebrei, ma anche gli zingari, i “femminielli” e le persone “speciali” come i due protagonisti dello spettacolo. La scena si apre sul vagone di un treno, chiaramente diretto ad un campo di concentramento, dove Michele e Michele, due fratelli autistici, giocano ad interpretare vari ruoli teatrali. I due ragazzi, interpretati da Alessandro Langellotti e dallo stesso Christian Izzo, non hanno percezione di quello che sta succedendo e credono di essere diretti a Roma per partecipare a uno spettacolo teatrale. È stata la madre (Laura Amalfi) a dire loro questa bugia per proteggerli, dopo aver tentato nascondendoli di evitare che venissero deportati. Con una dolcezza struggente, Christian Izzo ci descrive lo smarrimento dei due fratelli, l’allontanamento della loro mamma e la passione per il teatro in grado di trasformare un vagone destinato all’orrore in un palcoscenico brillante di luci. Lo spettatore è continuamente trasportato dal mondo dei due fratelli, in cui una semplice cassa può essere l’attrezzo di un mago, un deposito per oggetti di scena o addirittura un appartamento, alla struggente realtà. Quando si spengono le luci, espediente che il regista utilizza per sottolineare il distacco dal fantasioso mondo dei due protagonisti, lo spettatore si ricorda che il viaggio del treno sta continuando e che la meta è sempre più vicina. Grazie anche alla bravura degli attori, il pubblico ride quasi spensierato davanti ai riadattamenti dell’atto unico di Eduardo De Filippo “Pericolosamente” e de “Sik-Sik l’artefice magico”, ma avverte uno strano peso allo stomaco fin quando non ripiomba nella realtà insieme ai due Michele: una voce fuori campo gela le risate, zittisce i due fratelli minacciando di gettarli dal treno in corsa, inneggia alla bontà del Fuhrer che consente una morte degna a esseri indegni,e ricorda a tutti che la guerra non ammette dolcezza, sensibilità, amore. Neanche una madre può salvare i suoi figli dalla violenza cieca dei soldati, dei “cattivi”, come vengono considerati dai fratelli. In storia di solito si tende ad evitare di connotare i fatti in modo positivo o negativo, si cerca di riportare le vicende così come sono andate senza esprimere giudizi. A volte però non è possibile parlare di certi scempi definendoli semplici “fatti” e gli aggettivi ingenui dei bambini, come “cattivo” diventano il modo più semplice per esprimere l’orrore che proviamo. La conclusione dello spettacolo non è difficile da indovinare: il treno giunge a destinazione e probabilmente Michele e Michele moriranno presto. Ma forse è possibile trovare una consolazione in una frase più volte ripetuta nel corso della rappresentazione: “In teatro non ci sono soldati”. L’arte può essere un posto dove rifugiarsi per i deboli, gli isolati, gli oppressi, perché l’arte non conosce violenza né discriminazione. In teatro non ci sono individui considerati inferiori ad altri e, soprattutto, la violenza non è reale perché “a teatro non si muore mai”.
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