Orecchio mozzato, occhi pesti, naso fratturato, bruciature di sigaretta tra le dita, ferite da scariche elettriche: così si presenta il corpo, giunto in questi giorni in Italia per l’autopsia, del giovane ricercatore friulano Giulio Regeni, 28 anni, che si era recato in Egitto per scrivere una tesi sull’economia egiziana presso l’American University.Il Watan, giornale locale, scrive del ritrovamento in un fosso del “corpo di un giovane uomo di circa 30 anni, totalmente nudo nella parte inferiore, con tracce di tortura e ferite su tutto il corpo”, nella zona di Hazem Hassan della Città.

L’amico: “ E’ morto per la libertà”

regeniCome è morto Giulio Regeni? Chi lo ha ucciso? Per il momento è un mistero. Certo è che Giulio non riusciva a tacere nonostante le forti pressioni. Un personaggio scomodo, quindi. Certo è che Giulio aveva paura se sul Manifesto si firmava con lo pseudonimo di Antonio Drius. Queste le parole rilasciate alla Repubblica da un anonimo amico: «Giulio è morto per una causa che ci riguarda tutti: la libertà di pensiero, di parola, di manifestazione»
Libertà di pensiero, libertà di parola, libertà di manifestazione: concetti troppo forti e troppo pericolosi. Giulio doveva essere messo a tacere. Le sue idee dovevano essere affogate nel sangue. Il dissenso doveva essere cancellato cancellando gli individui che ne erano l’espressione, come Giulio, come tanti altri giovani egiziani che non sono neanche riusciti a “balzare agli onori delle cronache”.
C’è una crudeltà in questo atto che è ben più grande di quella di un semplice omicidio. Mettere a tacere Giulio significa mettere a tacere la dignità umana, la natura stessa dell’uomo, che è per sua essenza libero e razionale. C’è la volontà di bloccare lo sviluppo e la crescita della società, la maturazione delle coscienze e degli individui. C’è il tentativo di creare una massa di individui inerti e apatici, facili da dominare, perché privi di conoscenze e, soprattutto, di spirito critico. C’è, come scrisse Robert Frost,

”qualcosa che non va, qualcosa che manca in chi vuol far tacere uno che canta”.
Sul corpo di Giulio non ci sono solo le sue ferite, ci sono le parole non dette, le frasi non scritte, le minacce subite da tutte quelle persone nel mondo costrette a sottostare alla censura, una censura che pone di fronte a un bivio angosciante: o una vita da schiavi, con il cervello “ingabbiato” da un sistema più forte di loro, o una morte da criminali, senza alcun  rispetto per la dignità umana.

L’eredità di Giulio

Ma uccidendo Giulio il sistema censura ha perso. Ha perso perché le idee sopravvivono ai corpi e perché il seme della libertà, una volta piantato, non può fare a meno di germogliare. E così ogni articolo, ogni parola, ogni singola lettera scritta da Giulio risuona come un grido nelle nostre coscienze: un lacerante grido di dolore, di disperazione, ma anche un fortissimo grido di speranza, di amore per la libertà, di critica del presente nella speranza di costruire un futuro migliore. Come scrisse Ralph Waldo Emerson:

“Ogni libro o casa bruciata illumina il mondo; ogni parola soppressa o espunta riverbera da un’altra parte della terra”.