infinitoEra il  29 giugno 1798 quando, in una provincialissima Recanati, nacque un bambino dagli occhi cerulei e i capelli neri. Bambino prodigio, ma timido e introverso, avrebbe speso gran parte della sua giovinezza tra le mura della biblioteca paterna. I libri divennero, infatti, l’unico rifugio per un ragazzo sensibile che soffriva per lo scarso affetto dei genitori.

Nessuno avrebbe immaginato allora che egli sarebbe entrato nella storia della letteratura.

Oggi tutti conosciamo quel ragazzo: il suo nome è Giacomo Leopardi e le sue opere, famose in tutto il mondo, vengono studiate in ogni scuola italiana. Ma, poiché conoscere non significa necessariamente anche comprendere, siamo costretti a concordare con Alessandro D’Avenia, autore del libro “L’arte di essere fragili”: il Leopardi che viene insegnato a scuola è solo un aspetto del Leopardi realmente esistito.

Leggendo le sue poesie appare nitida nella mente un’immagine diversa, se non addirittura contrapposta, a quella a cui siamo abituati. E’ l’immagine di un uomo sì schiacciato dai problemi della vita e amaramente conscio della sua fragile condizione, ma mai rassegnato, mai sconsolato, mai stanco di vivere; un uomo in eterna lotta per raggiungere una felicità che sa irraggiungibile, costantemente legato a illusioni che riconosce effimere e vane, ma di cui non sa liberarsi, soggetto a slanci eroici e titanici, ribelle al fato che pure sente invincibile e indifferente alla sua disperata protesta, e che in quella stessa natura che considera matrigna e crudele cerca rifugio.

Ma chi fu in sostanza Leopardi?

Fu un uomo che visse e cercò di superare le contraddizioni leopardi_firmadel suo tempo.

Lucidamente comprese che quell’età presunta felice, tanto osannata dai contemporanei, con le sue “magnifiche sorti e progressive”, era segnata invece dal ritorno ad un conformistico passato (era l’epoca della Restaurazione) e che il progresso scientifico e tecnologico potenzialmente portava con sé anche un regresso dal punto di vista sociale e umano. Tuttavia si rese conto dell’importanza dei sogni, delle illusioni e perfino della follia, tanto da affermare che non vi fosse nulla di più vero e ragionevole.

Di formazione illuminista, ma di spirito fortemente romantico, riempì i suoi versi di domande più che di risposte: alla vita, agli uomini, alla natura e a sé stesso, facendo del dubbio una cifra significativa della sua vita come della sua poesia.

Pur essendo un convinto materialista, fu animato da un anelito verso l’infinito e da una profonda spiritualità, filtrata tuttavia attraverso le sue concezioni sensistiche. Fu, pur dichiarandosi un neoclassico, il più romantico e, pur essendo nato in un piccolo paese di provincia, il più europeo dei poeti italiani. Nel suo continuo opporsi all’infelicità, fu il poeta di un’adolescenza e di una gioventù alla ricerca del proprio spazio nel mondo, in lotta contro le brutture della vita e, nella sua lucida consapevolezza, fu il poeta di una saggia maturità.

Fu poeta e fu filosofo, sentimentale e pensatore, senza mai dimenticare di essere uomo. Accusato dai contemporanei di misantropia, fu invece molto attento alle sofferenze e ai bisogni dell’umanità fino ad aspirare all’unione in “social catena” di tutto il genere umano.

Seppe scrivere prima nello stile semplice e piano, ma musicale e profondamente suggestivo degli idilli e poi nello stile sofferto e spezzato, carico di pathos degli ultimi componimenti, ma anche nella prosa chiara e limpida delle “Operette morali”, facendo sempre dei suoi scritti i canti del suo animo e dell’umanità intera.

Invocò spesso la morte, ma con un “Addio, Totonno, non veggo più luce” all’amico Ranieri salutò con amarezza la vita.

Appare chiaro allora che Leopardi non fu solo il cantore del pessimismo e del dolore, ma indirettamente il cantore della felicità e dell’amore per l’umanità. Costantemente aggrappato ad una vita che pure gli aveva dato ben pochi motivi per amarla, come scrisse efficacemente De Sanctis:

«Leopardi produce l’effetto contrario a quello che si propone. Non crede al progresso, e te lo fa desiderare; non crede alla libertà, e te la fa amare. Chiama illusioni l’amore, la gloria, la virtù, e te ne accende un desiderio inesausto… È scettico, e ti fa credente».

Ecco allora che quel fragile ragazzo, da figura vaga e sbiadita, riacquista tutta la propria forza e vitalità per divenire emblema di noi uomini tutti, in tutte le epoche. Profondamente concreto e attuale, specialmente in un’età come la nostra in cui spesso i sentimenti vengono considerati debolezze da nascondere e la ricerca della felicità si confonde con la ricerca del benessere economico, insegna a trovare la forza nella fragilità e un barlume di felicità anche nella disperazione.

Ecco allora perché amare Leopardi.