Un nuovo studio ha finalmente svelato il mistero della polvere cosmica, rivelando il perché della sua composizione.  La ricerca, egregiamente coordinata da Maria Lugaro dell’Hungarian  Academy of Sciences, reca la firma di un napoletano: Gianluca Imbriani, docente di Fisica Sperimentale alla Federico II e promotore dell’evento, supportato dalla sezione napoletana dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare e dal Dipartimento di Fisica dell’Università.

“Intorno a 4,5 miliardi di anni fa”, ha spiegato Imbriani, “i granelli di polvere cosmica, nati all’interno delle stelle e rilasciati nell’universo, presero ad aggregarsi e a formare i pianeti. In minuscole parti, questa polvere è rimasta intatta, custodita nei meteoriti che l’hanno accidentalmente portata sulla Terra”.

La polvere cosmica contenuta nei meteoriti può essere utilizzata dunque per avere informazioni sulla fase del sistema solare che precedette la formazione dei pianeti, anche perché, come ha chiarito il Prof. Carlo Broggini dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (anch’egli nel team internazionale di ricercatori che hanno seguito questo esperimento) “le polveri cosmiche, andandosi a condensare per dare vita al sole e ai pianeti, hanno perso la loro individualità attraverso la fusione. Nei meteoriti, che sono corpi più piccoli, invece non c’è stato il processo di fusione, motivo per cui queste polveri hanno mantenuto la loro individualità […]”. 

 I grani di gas e polveri trovati nei meteoriti hanno infatti avuto origine prima della nascita del sistema solare negli inviluppi tra stelle Agb. La sigla sta per ramo asintotico delle giganti o braccio asintotico delle giganti e indica un insieme di stelle situate nella medesima regione del diagramma Hertzsprung-Russell e dalle dimensioni medio-piccole (0,8-8 masse solari) che bruciano elio e idrogeno in due gusci esterni al nucleo centrale degenere, composto da carbonio e ossigeno. L’esplosione di queste stelle ha disperso nell’universo quella che chiamiamo polvere cosmica e i meteoriti l’hanno inglobata, facendola arrivare fino a noi così come era in origine.

Il dilemma

Tuttavia finora le osservazioni sperimentali risultavano in disaccordo con i modelli teorici: i modelli stellari in nostro possesso, infatti, suggerivano un’abbondante presenza di ossigeno 17 (isotopo dell’ossigeno diverso da quello che si trova sulla Terra, l’ossigeno 16), che tuttavia non si registrava nelle osservazioni.

Questo perché, hanno scoperto i ricercatori, l’ossigeno 17 ha maggiori probabilità rispetto a quelle previste finora di essere coinvolto in reazioni di fusione nucleare con i nuclei di idrogeno nelle stelle presolari e dunque di essere distrutto già all’interno di esse.

Come è stato possibile dimostrarlo?

Grazie ad un esperimento condotto al Luna, il Laboratory for Underground Nuclear Astrophysics del Gran Sasso coordinato dal fisico Paolo Prati. Si tratta, come è possibile vedere dall’immagine a lato, di un acceleratore sotterraneo di particelle che ha riprodotto le reazioni nucleari all’interno delle stelle primordiali. E’ stata misurata la sezione d’urto (che si può pensare come l’area, misurata attorno ad una particella bersaglio, all’interno della quale la presenza di una seconda particella genera dei fenomeni di interazione) tra nuclei di idrogeno e ossigeno-17 ed è stato così dimostrato che la probabilità che si inneschi una reazione di fusione nucleare è addirittura doppia rispetto a ciò che si pensava in passato.

Ma quale ruolo ha avuto la polvere cosmica nella formazione del Sistema Solare?

Secondo il modello teorico più accreditato, il nostro sistema planetario ha avuto origine, come molti altri, proprio da dischi di polveri e gas in orbita attorno a una giovane stella.

I problemi da spiegare

Tuttavia anche questo modello presentava dei problemi a cui è stata solo recentemente data una risposta. Prima di tutto la stella centrale rischiava, per gravità, di risucchiare su di sé tutto ciò che si trovava in orbita intorno ad essa. Inoltre i granelli rischiavano di scontrarsi tra loro a velocità tanto alte da ridurli in piccoli pezzi.

Le trappole di polvere

Come è possibile allora che in condizioni simili si formino dei pianeti? Uno studio della Royal Astronomical Society pubblicato sul Monthly Notices spiega che ciò può avvenire grazie alla presenza di “trappole di polvere”. In queste regioni le polveri stellari si accumulano fino a formare dei frammenti. Questi ultimi, man mano che si si ingrandiscono, espellono il gas contenuto al loro interno. Nella zona circondata dal gas si viene a creare un’alta pressione, che favorisce l’aggregazione: è a quel punto che è nata la “trappola di polvere” vera e propria. Il fenomeno non è del tutto nuovo, ma finora si pensava che potesse verificarsi solo in condizioni eccezionali.

Al contrario le simulazioni al computer hanno mostrato che si tratta di un fenomeno molto diffuso e che pertanto può essere considerato all’ origine di gran parte dei sistemi planetari, compreso il nostro.

 

 

Il Modello di un disco protoplanetario con trappola di polvere inclusa (l’anello luminoso al centro). Le polveri sono indicate in rosso, il gas in blu.|JEAN-FRANCOIS GONZALEZ

 

Abbiamo trovato il pianeta Tatooine!

A proposito di pianeti: ricordate il mitico Tatooine di Guerre stellari , che possiede due soli? Bene, perché ora è stato trovato. O meglio, è stato trovato un sistema di pianeti con la medesima particolarità. Si chiama SDSS 155 e si trova  a circa 1.000 anni luce da noi.

Uno studio, coordinato dall’University College London (UCL) e pubblicato su Nature Astronomy, ha  riportato l’osservazione attorno a una stella doppia (formata in questo caso dall’ insieme di una nana bianca e di una nana marrone) di detriti e polveri, un pianeta roccioso in embrione. Finora, tutti gli esopianeti osservati in sistemi binari si sono rivelati giganti gassosi, molto più simili a Giove che alla Terra e a Tatooine. “La costruzione di pianeti rocciosi attorno a due stelle – ha spiegato Jay Farihi, a capo dello studio – è difficile, perché la gravità del sistema binario può essere così forte da impedire alla polvere e alle rocce di compattarsi per dare vita a un pianeta. Ma la scoperta dei detriti del sistema SDSS 1557 ci aiuterà a capire come gli esopianeti rocciosi possono formarsi nei sistemi di due stelle.”

Insomma, tante sono state le scoperte che negli ultimi mesi hanno cambiato il nostro modo di concepire l’universo e che aprono nuovi scenari alla ricerca e alla comprensione della realtà. Non può che renderci ancora più orgogliosi il grande contributo dato da un’università a noi vicina, la Federico II di Napoli, a dimostrazione che in Italia e in particolare a Napoli ci sono molti più talenti di quanto si possa immaginare.