“Mi manchi tanto, caro amico, davvero,

e tante cose son rimaste da dire

ascolta sempre solo musica vera

e cerca sempre, se puoi, di capire”

Queste bellissime parole tratte dalla canzone L’Arcobaleno di Mogol mi sono risuonate in mente appena ho appreso che il maestro Ezio Bosso è morto.  Una notizia triste, che porta un’ulteriore nota di negatività in questo momento difficile. Ma chi era Ezio Bosso? Un direttore d’orchestra, un pianista, un compositore, un musicista straordinario, capace di captare i suoni e le vibrazioni del mondo arrivando direttamente al cuore degli uomini. Ezio, però, era innanzitutto un grande uomo, “un uomo con una disabilità evidente in mezzo a tanti uomini con disabilità che non si vedono”. È diventato popolare e noto al grande pubblico nel 2016, quando, sul palco dell’Ariston come ospite d’onore al Festival di San Remo, eseguì il suo brano “Following a bird”. E’ stato uno spettacolo vedere un uomo, dotato di una energia atomica, capace di sconfiggere quella disabilità che lo accompagnava dal 2011.

Ezio ha combattuto e vinto sempre contro il pregiudizio.  “Enfant prodige” (a quattro anni leggeva e suonava al piano tutti gli spartiti senza ancora conoscere l’alfabeto), la sua prima battaglia fu vinta quando dimostrò che non è vero che “il figlio di un operaio deve fare l’operaio”. Fu chiamato proprio lui, il 20 gennaio del 2019, a dirigere il grande evento “Grazie Claudio” a 5 anni dalla morte del celebre Claudio Abbado.

E pregiudizi lui non ne aveva neanche sulla musica, che amava in tutte le sue forme e sfaccettature. Ha sempre preferito la musica classica, ma non ha mai rinnegato il suo passato di bassista degli Statuto, che oggi dicono di lui: “Abbiamo perso un amico, un fratello, un pezzo di noi”.

La musica scaturita dalle sue mani imperfette, sia che provenisse dal suo pianoforte sia che fosse guidata dalla sua bacchetta, è stata ciò che gli ha permesso di lottare contro un tumore al cervello prima e contro una malattia degenerativa poi. Ha avuto il coraggio e la determinazione di ricominciare, imparando nuovamente a fare musica, laddove altri si sarebbero lasciati andare, diventando un grande esempio di forza e perseveranza per tutti. Ezio rappresenta la capacità di sapersi rialzare, la tenacia di chi non si arrende, la speranza che va oltre ogni difficoltà. Tutto questo senza esibizionismi, senza cercare a tutti i costi di suscitare un facile consenso basato su pietismo e sterile compassione. “Io vivo combattendo contro il pregiudizio, positivo e negativo che sia, vivo lottando per non diventare un luogo comune, credo in tutto quel che dico”. Anzi, più che suscitare pietà per la propria condizione, Ezio mirava a infondere negli altri un altro tipo di sentimento: la felicità. “Più lavoro con le orchestre e più mi rendo conto di quanto sia fondamentale prendersi cura dell’altro”. A Ezio piaceva lavorare con gli altri. “Devo farli stare bene, seguirli e guidarli”, diceva.

Ci rendiamo conto allora che Ezio è stato una persona speciale, un esempio unico di coraggio e amore per la vita. Ci ha ribadito che bisogna vivere intensamente, giorno per giorno, per cogliere ogni attimo di felicità. “Carpe diem”, “pensando che il futuro è anche l’istante dopo questo”.

“Dopo di me rimarrà la mia arte”, diceva. Certo, Ezio, la tua musica rimarrà per sempre, perché è “musica vera”; ma soprattutto resterà per sempre la tua capacità di non smettere mai di sorridere, la tua vulcanica energia, la tua capacità di dare un’anima alle cose che hai fatto.