Poesia: dal greco «ποίησις», creazione.  Dinanzi a questa parola, chiunque direbbe che la “poesia” è una produzione letteraria in versi, vincolata dai limiti di una classificazione storica o estetica o di una attribuzione individuale. Tecnicamente parlando, questa definizione è tanto giusta quanto sbagliata. ”Poesia” è tutto ciò che tocca l’animo, il cuore, che stimola l’immaginazione, è quell’uso del linguaggio che rende gli umani sensibili al fatto che parlino. È la capacità di suscitare una forte impressione nella mente e nella fantasia di chi legge o ascolta versi.

Oggi ci sembra, però, impossibile che le parole da sole possano così tanto: può la scrittura di un poeta reggere al confronto di un grande film, di una video istallazione, di un videogame? Siamo immersi, infatti, in una realtà quotidiana in cui le parole perdono il loro significato, ma al contempo risulta indispensabile riuscire a riappropriarsene, in quanto la poesia costituisce una sorta di antidoto contro ciò che, odiernamente, incarna il male: l’omologazione, l’omofobia, il bullismo, la freneticità, l’inautenticità.  Durante le lezioni di italiano abbiamo potuto colmare questi noiosi giorni di quarantena, tuffandoci nei meandri della poesia e toccando, attraverso questa, tematiche importanti come l’amore, la solitudine, il vuoto. Abbiamo infatti scoperto e apprezzato moltissimo l’iniziativa dei ragazzi del liceo Calamandrei che si scambiano storie in versi e lo fanno via Instagram. Hanno creato appositamente un profilo per “spacciare” poesie, ballate, sonetti. Le firme sono dei più grandi autori, italiani e stranieri e a postarle sono i ragazzi della II H del liceo classico: nasce così “Poesiachemiguardi”. Come in un “Decamerone 4.0”, il gruppo si riunisce in un “luogo protetto”, la rete. Internet sostituisce la campagna fiorentina del Trecento, dove i ragazzi cantati dal Boccaccio si incontravano per sfuggire alla peste nera e si raccontavano storie. Tramite le letture delle poesie pubblicate quasi ogni giorno dai nostri coetanei, abbiamo constatato che leggere queste e lasciarsi trasportare dalla forza e dall’incanto, a volte oscuro dei versi, fa bene. Tra le tante belle poesie che abbiamo letto c’è quella intitolata “Vuoto” scritta da Emily Dickinson. La poetessa visse la maggior parte della propria vita nella casa dove era nata, ebbe modo di fare solo rare visite ai parenti di Boston, di Cambridge e nel Connecticut. La giovane donna amava la natura, ma era costantemente ossessionata dalla morte, vestiva solo di bianco in segno di purezza. Quando Emily aveva venticinque anni, decise di estraniarsi dal mondo e si rinchiuse nella propria camera al piano superiore della casa natale. Al momento della sua morte, la sorella scoprì nella camera di Emily 1775 poesie scritte su foglietti ripiegati e cuciti con ago e filo contenuti tutti in un raccoglitore. Tramite “Vuoto” la poetessa vuole dirci con poche ma parole forti, che nella vita in generale per risolvere un problema (per colmare un vuoto) devi ricercare la causa di questo (devi inserire ciò che l’ha causato). Se questo “vuoto” è colmato da espedienti che si ritengono buoni per risolvere il suddetto problema-vuoto (se lo riempi con altro), o comunque evitiamo di affrontarlo, il problema diverrà ancora più grave (“ancora di più spalancherà le fauci”), tant’è che potrebbe corroderci dentro. La migliore soluzione dunque è affrontare il problema direttamente risolverlo dalla base e non scappando da esso o tentando di colmarlo con inutili quanto futili espedienti (non si chiude un abisso con l’aria). Abbiamo scelto questa poesia perché ci sembra descrivere una situazione spesso ricorrente nella vita di tutti gli uomini: chi non ha mai cercato di non pensare, di evitare ciò che ci succedeva e che ci sembrava troppo grande da affrontare? Ognuno di noi sa da cosa è scaturito il vuoto che sentiamo e l’unico modo per farlo tacere è prenderlo e rimetterlo dove era, un po’ come un puzzle che hai finito e al quale, per scherzo, togli un pezzo, lo nascondi, ma poi non lo ritrovi più, certo puoi ritagliare un pezzo e colorarlo, modellarlo finché si incastra ma non sarà mai la stessa cosa, stonerà sempre. Anche in amore, al giorno d’oggi, si tende a sostituire una persona con un’altra, con il desiderio che quest’ultima possa colmare il vuoto, le mancanze che la prima ci ha lasciato.  A proposito dell’amore, ne riconosciamo ogni sua sfumatura nella poesia dello scrittore cileno Luis Sepulveda, “La più bella storia d’amore”, ispirata alla sua travagliata storia d’amore e di dolore con Carmen Yáñez. Sposatisi nei giorni felici di Salvador Allende, i due innamorati furono costretti a separarsi con l’avvento della dittatura di Pinochet. L’addio alla sua giovane amata fece sprofondare Sepulveda in un abisso profondo, immerso tra i perché, le mancanze e il vuoto incolmabile che seguì alla separazione. Il poeta iniziò allora a riempirsi la vita di cose da fare, per cercare di colmare quella voragine che c’era in lui, che gli divorava il cuore e che gli ispirò “La più bella storia d’amore”, in cui spiega che l’amore nasce con la stessa facilità con cui nasce una rosa o si morde la coda una stella cadente.. Sono molti i passeggeri che salgono e scendono dal treno della nostra vita, e ognuno di loro cambia una parte di noi stessi: c’è chi ci fa amare, chi soffrire, chi ci insegna ad saper perdonare, chi a saper apprezzare, chi ci fa del bene e chi ci fa del male e poi , quando non avremo più nulla da imparare, ognuno di questi scenderà dal nostro treno e noi torneremo nuovamente a dubitare di ciò che ci circonda, ma con un bagaglio sempre più ricco di esperienze. In amore, secondo il poeta cileno, sommare equivale ad unire due persone,le lega fino a fondere le loro anime e creare un equilibrio instabile,pronto a rompersi nel sottrarre,che ci lascia soli con noi stessi in un vuoto incolmabile,se non con ciò che l’ha causato. Capiamo il valore di ciò che abbiamo soltanto dopo averlo perso,quando ci accorgiamo che quella mancanza rende la nostra vita incompleta .È stato così che Sepulveda e Carmen Yáñez si sono rincontrati a distanza di venti anni da quello stesso addio, che li ha spinti a cercarsi e prendere la decisione di tornare a far parte ognuno della vita dell’altro. La poesia è tutto questo e anche molto di più, ed è proprio questa l’unica cosa che rimarrà invariata nel corso degli anni.Tutti noi siamo poeti ma dobbiamo solo trovare il coraggio sufficiente per esprimere noi stessi,metterci a nudo davanti ai nostri demoni.Tutti noi siamo vittime del silenzio.Il silenzio è una virtù,un dono,un valore ma anche un vizio,una debolezza,una cattiva abitudine.Lo temiamo e allo stesso tempo lo bramiamo.Fa parte di noi come noi facciamo parte di lui,ma la poesia rappresenta l’unica via d’uscita da questo lungo tunnel.In un mondo che cambia ripetutamente,ci troveremo cambiati e spaesati insieme a tutto quello che ci circonda, mentre  l’unica cosa che rimarrà invariata é la poesia,che non è morta e non morirà,perché essa è dentro l’essere umano e finché egli esisterà,finché proverà dei sentimenti,in un modo o nell’altro essa  farà parte della sua vita. La poesia è per l’anima e a volte le parole non bastano proprio per questo.

Di Sarno Martina, Iovene Chiara, Izzo Martina 2B classico