Jago: il nuovo Michelangelo
È riuscito a far diventare l’arte virale. È considerato il miglior scultore social. È una personalità artistica innovativa e sperimentatrice. Non è un semplice artista, ma anche un artigiano. Il suo nome è Jago, alias Jacopo Cardillo, giovane talentuoso che percepisce la vita contenuta nella pietra e quasi dialoga con essa, il più giovane scultore ad esporre alla 54° edizione della Biennale di Venezia.
Fin da bambino sognava di diventare più grande di Michelangelo, il suo modello. E come Michelangelo, dà alla fredda e informe materia un respiro, conferisce morbidezza alla massa, liberandone l’anima. A Jago piace filmare e condividere il percorso che lo porta a creare un’opera; solo così le persone possono davvero sentire la sua opera anche un po’ loro. Vince premi, conquista riconoscimenti e commesse importanti; le sue opere conquistano il mondo dell’ arte.
Dalla provincia di Frosinone, dove è nato, arriva negli Stati Uniti dove “non esistono le barriere della tradizione”, dove si può sperimentare, dove si è liberi di uscire dagli schemi. Jago costruisce giorno dopo giorno la sua arte, secondo le sue regole. La sua opera fissa nel marmo la realtà contemporanea, costringendo ad un confronto con le immagini.
Rientrato in Italia, l’artista ha eletto Napoli come il suo domicilio di studio e di vita. Ha scelto di collaborare con la Fondazione di Comunità San Gennaro e la Cooperativa Sociale “La paranza”, realtà virtuosissima del Rione Sanità, periferia dentro il cuore di Napoli. Col sostegno di padre Antonio Loffredo, parroco – salvatore del Rione, Jago ha trasformato l’antica chiesa, ormai chiusa al culto, di Sant’Aspreno ai Crociferi, nel borgo Vergini, nel suo laboratorio di scultura. Il legame tra l’artista e Napoli si è fatto saldo, forte. E la comunità napoletana, in tempi recenti, può godere della sua arte.
A Piazza Plebiscito, centro vitale di Napoli, dal 5 Novembre, ha disposto una scultura in marmo raffigurante un bambino in fasce, incatenato e dagli occhi stanchi e chiusi. “HomeLess” è il suo nome. Una macchia di purezza, marmo bianco, che sfida lo sguardo diffidente e curioso di chi passa. E’ una scultura metaforica, creata per denunciare lo stato di solitudine dell’uomo moderno, la sua fragilità, la condizione di incertezza e la grave crisi indotta dalla pandemia. “Puntare la luce su chi non ha nulla”, dare voce a chi voce non ha: questo è il fine dell’arte del migliore scultore dei nostri tempi.
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