Te piace ‘o presepe?”: è questa la domanda sulla quale si snoda l’intera tragi-commedia “Natale in casa Cupiello” del grande drammaturgo Eduardo de Filippo.
Lucariello, il protagonista, pone più volte caparbiamente questa domanda al figlio Tommasino nel tentativo di interessarlo all’allestimento del presepe, che nel secolo scorso occupava spazio e tempo nelle case, fungendo da liturgia di preparazione al Natale. Tuttavia il figlio risponde sempre: “No, nun me piace!”, per marcare la distanza dal padre e dalla sua fede semplice. È un “no” che segna anche la distanza tra le generazioni e racconta la difficoltà dei genitori a trasmettere ai figli i valori e i simboli della fede su cui si impernia la loro vita.
Eduardo con questa commedia ci svela la miseria della vita, il dolore della quotidianità, ma anche la forza di affrontarla, autoironici e consapevoli. La moglie Concetta, Tommasino, la figlia Ninuccia, lo zio Pasquale e Lucariello sono protagonisti di situazioni comiche ma intrise di un’amara tragedia. I contrasti apparentemente esilaranti hanno in sottofondo  tensioni profonde e i personaggi emergono come volti addolorati nella franchezza.
La famiglia diviene il luogo di una vicinanza forzata, dove ognuno sfoga la propria aggressività. Il bene, l’affetto, l’amore non svaniscono, ma assumono contorni tristi tra contrasti continui.
Oltre che simbolo della famiglia unita, il presepe per Lucariello è fissazione. Scena nella scena, realtà dentro realtà. La sua composizione meticolosa è un momento attesissimo dal protagonista, l’unico in cui ha la possibilità di non essere vittima ma attore. Il presepe è antidoto all’oppressione della vita. Ed è questo che Lucariello vuole trasmettere al figlio: l’importanza delle tradizioni, sperando nel ritorno di un’unità familiare che sembra essersi persa.
Solo ad un passo dalla morte e, quindi, alla fine della commedia, Lucariello ha ancora il coraggio di chiedere al figlio “te piace ‘o presepio?: Tommasino, che in precedenza  aveva sempre risposto di no con astio e superficialità, ovviamente, col padre in punto di morte, si pente con un tardivo “ Sì, me piace papà!” sussurrato tra le lacrime.
L’unità familiare che Lucariello tanto auspicava riesce ad ottenerla solo in punto di morte e fino alla fine i suoi principi restano saldi. Il pathos della commedia nasce proprio dalla discrasia tra i sentimenti di Luca Cupiello per la propria famiglia e la realtà. La moglie Concetta è pragmatica e distante, il figlio Tommasino è sfaccendato e critico, Nina infelice in un matrimonio sbagliato; quando la situazione precipita, se ne va anche l’illusione coltivata per anni di aver creato una famiglia felice. Ma anche in punto di morte Lucariello non si arrende.
Il presepe rappresenta l’unità di quella famiglia, di tutte le nostre famiglie, il valore delle radici, delle tradizioni.
Il rischio dei genitori, oggi, è di rassegnarsi dinanzi alla scontrosità degli adolescenti, facendo scendere un silenzio che rompe il patto tra le generazioni. Bisogna, al contrario, essere testardi e dolci, come il protagonista della commedia di Eduardo che è andato via in pace, con la consapevolezza che ogni anno il figlio Tommasino avrebbe fatto il presepe in suo onore e che quell’unità familiare per la quale ha combattuto finalmente è ritornata.
Un  po’ come dovremmo fare tutti noi. Ninuccia capisce che ogni famiglia, per quanto imperfetta sia, è sempre un rifugio sacro e sicuro e Tommasino si rende conto che, pur volendo, non può liberarsi né delle tradizioni né delle sue radici. Quel presepio è una parte importante e irrinunciabile di lui e di quello che è diventato.

E’ andato in onda poche sere fa ‘Natale in casa Cupiello’, film per la TV con la regia di Edoardo De Angelis, e ha portato, a parer mio, una ventata di calore in tutte le case, ricordando a tutti noi quanto sia importante la famiglia, soprattutto in un momento drammatico come quello che stiamo vivendo.

Ci sembra tutto scontato, passiamo la maggior parte delle nostre giornate chiusi in casa, annoiati e contrariati dal fatto di vedere sempre le stesse facce: quelle dei nostri familiari.

Dovremmo provare tutti, invece, ad approfittare di quello che ci sta, paradossalmente, “donando” questo periodo, e non pensare sempre e solo a quello che ci sta portando via.

Guardiamoci intorno e godiamoci ogni attimo con i nostri familiari, attimi che nessuno ci restituirà mai.