Già nel 2018 in Argentina, su iniziativa di alcune deputate e con l’assenso neutrale dell’allora presidente Mauricio Macri, era stato presentato e approvato, alla Camera dei Deputati, un progetto di riforma, nel tentativo di legalizzare l’aborto, vanificato però dal voto decisivo del Senato, che lo aveva bocciato. Questo rifiuto di uno dei più discussi e sentiti diritti civili rappresentò il simbolo emblematico dell’arretratezza del paese:  l’Argentina, sebbene fosse promotrice di altri principi di civiltà raggiunti, come il matrimonio gay e il riconoscimento di genere, stentava a riconoscere legalmente l’aborto. Nonostante la presenza a Roma di un Papa argentino, che più volte ha dimostrato la sua apertura ai temi dei diritti sociali e civili, il fronte conservatore e le influenze della Chiesa, contrari alla liberalizzazione, rappresentavano, infatti, un ostacolo insormontabile per il tentativo di riforma indetto dalla popolazione.

Ma questo fino all’arrivo del presidente Alberto Fernández, in stretto contatto con lo stesso Pontefice. Sin dalla campagna elettorale, Fernández si era impegnato a provvedere al tema dell’aborto, che ha successivamente riproposto, dopo la sua elezione. È stato lui stesso a sollecitare i deputati del suo partito a presentare nuovamente un disegno di legge di riforma, da cui ha avuto inizio il dibattito.

“Gli occhi di Dio stanno guardando ogni cuore in questo emiciclo. Ci pongono di fronte a una scelta che segnerà il futuro del nostro Paese. Saremo benedetti se valorizziamo la vita, saremo maledetti se autorizzeremo a uccidere innocenti. Non lo dico io, lo dice la Bibbia sulla quale ho giurato”, attesta Maria Belen Tapia, del fronte del “no”. Una deputata del fronte del “sì”, controbatte dicendo: “Quando siamo nate non potevamo votare, non ereditavamo, non potevamo studiare all’università. Quando io sono nata le donne non erano nulla. Provo una grande emozione per la lotta che stanno portando avanti tutte quelle donne che sono là fuori”.

Proprio lei, la senatrice Silvia Sapag segna il punto di svolta, trasforma in legge questo disegno di riforma. Prima del voto, il presidente  ha ricordato che, dal ritorno della democrazia nel Paese, oltre tremila donne sono morte a causa di aborti clandestini, mentre, nell’anno corrente, 38 ragazze sono rimaste vittime di questa barbarie e tantissime altre si sono rivolte alle cliniche private.

Anche la stessa società argentina si è divisa tra “fronte verde”, favorevole all’aborto, e “fronte celeste”, antiabortista. Dopo l’esito della notizia tanto attesa, all’esterno, la marea azzurra del movimento per la vita, rappresentata dalla Chiesa cattolica e dalle altre confessioni religiose, si è disperata, sventolando bandiere argentine con un feto al posto del sole, rosari, bambolotti, crocifissi e sciarpe azzurre.

Sul lato opposto, invece, la notizia è stata accolta da un boato di grida, canti, balli, slogan e una marea di fazzoletti verdi agitati da migliaia di donne, e di uomini, che da oltre 24 ore riempivano le strade di Buenos Aires e sostavano nella piazza antistante il Parlamento. Protagonista indiscusso di tanto entusiasmo è stato un movimento, nato quindici anni fa, per la depenalizzazione e la legalizzazione dell’aborto, La Campaña Nacional por el Derecho al Aborto Legal, il cui simbolo sono proprio i fazzoletti verdi. “È legge!”, urlano queste giovani e meno giovani donne, che per nove volte hanno inseguito un sogno ogni volta infranto.

Ecco che, con 38 voti a favore e 29 contrari, l’interruzione della gravidanza sarà permessa fino alla quattordicesima settimana di gestazione e l’aborto diventerà libero e sicuro. Il provvedimento indica anche dieci giorni di tempo tra la volontà espressa e l’intervento, per evitare ogni tipo di pressione e manovra che spinga la madre a un ripensamento. Sarà, però, consentito rifiutare di praticare o partecipare a pratiche di aborto agli operatori sanitari e agli istituti medici privati, in cui tutti i medici sono contrari alla procedura. La proposta del governo prevede, inoltre, la condanna delle donne e di chi pratica un aborto oltre le 14 settimane, a meno che non rientri nelle deroghe previste: in caso di stupro, rischio per la vita o per la salute della donna.

La legge non impone nulla, dà la libertà di scegliere e, in tal modo, “il paese avrà una vergogna in meno e una libertà in più”. Mónica Macha, presidente della commissione per le donne afferma che: «Chi si oppone al diritto dell’aborto non difende la vita, difende l’aborto clandestino», e che comunque, questa, «non è una questione religiosa ma politica». Le donne raggiungono, così, un traguardo di civiltà e seppelliscono la contestata norma, in vigore dal 1921, che lo considerava un delitto, ad eccezione dei casi di violenza sessuale o quando era a rischio la vita della madre.

Con la nuova legge, l’Argentina entra a far parte della lista dei Paesi dell’America Latina che consentono alle donne di decidere sul loro corpo e sul desiderio di essere o meno madri,  affiancando l’Uruguay, Cuba, Guyana e lo Stato di Città del Messico. Negli altri persistono restrizioni e condizioni, ad esempio in Nicaragua, Repubblica Dominicana e Salvador l’aborto è vietato, e il semplice sospetto di aver interrotto volontariamente una gravidanza è punito con una condanna fino a 30 anni di carcere. Ci sono decine di donne, spesso ragazzine, in galera perché hanno abortito dopo essere state violentate  o solo perché hanno perso il feto, ma i tribunali le hanno accusate di aver provocato l’interruzione della gravidanza.