Quanto può far male una parola detta per ferire di proposito il prossimo? E’ più lacerante una parola o uno schiaffo? E soprattutto, ai giorni nostri, i ragazzi dell’attuale generazione comprendono il peso  che una critica può avere su un adolescente più debole?  A quest’ultima domanda potremmo rispondere senz’altro che no e ne è prova evidente Michele Ruffino un ragazzo di 17 anni che, stanco di essere deriso dai suoi compagni di classe ed esausto dei numerosi soprusi costretto a subire, ha deciso anche lui, come tanti altri ragazzi, vittime di bullismo e di cyberbullismo, di porre fine alla sua vita il 23 febbraio 2017, lanciandosi dal ponte di Alpignano. La madre: –Lui aveva voglia di vivere, cercava una pacca sulla spalla, un amico, una ragazza, ma ha trovato solo risate cattive e porte in faccia-.

Per quanto possa sembrarci inverosimile, dunque, le parole possono uccidere, specialmente se dette con cattiveria. Michele, appassionato alla pasticceria e al web, desiderava avere un amico, una persona su cui contare, di cui fidarsi, ma ha ricevuto l’esatto contrario. “Sei gay!”,“Handicappato!” e ancora “Non puoi dare niente alla società!”, “Devi solo morire!”: era ciò che Michele era costretto a subire ogni giorno dai suoi compagni di classe .

-La morte di mio figlio non è stata un suicido, ma UN’ISTIGAZIONE al suicidio! – grida la madre con le lacrime agli occhi. La donna Maria Raso si è vista portare via in modo crudele il suo unico figlio, bullizzato fin dalle medie per una malattia causata da un vaccino scaduto. Michele non è sicuramente la prima vittima di bullismo tra i giovani d’oggi, né sarà l’ultima fin quando non ci sarà una cambiamento radicale, anche e soprattutto nelle scuole, che giocano un ruolo fondamentale nell’ insegnare a tutti gli adolescenti l’importanza di aiutare il prossimo.

La morte di Michele, però, avrebbe potuto essere evitata. Pochi giorni prima di suicidarsi, infatti, il ragazzo scrive una lettera di addio per il suo migliore amico, consegnandola nelle mani di una sua compagna di classe, incaricata di portarla al destinatario. Quella lettera, in cui Michele annunciava esplicitamente la sua morte, viene letta dai compagni di classe poco prima del gesto estremo, eppure nessuno ha ritenuto opportuno aiutarlo, né tantomeno avvertire i genitori. Nonostante la sua morte brutale e il dolore dei genitori al suo funerale, ancora una volta, con estrema superficialità, i suoi stessi compagni di classe hanno preferito in quel giorno deriderlo, commentando in modo sarcastico la foto del suo viso esposta fuori alla chiesa.

Ma cosa aveva realmente fatto Michele per meritarsi tutto questo? Era diverso dagli altri? Non meritava nemmeno un saluto dignitoso il giorno del suo funerale? In realtà, lui era né più né meno che un ragazzo come tutti noi adolescenti, con dei sogni e delle aspirazioni, con una gran voglia di vivere e desideroso di affetto e di amore, tutte cose portategli via il 23 febbraio 2017.

La storia di Michele, ma non solo la sua, dovrebbe aprire gli occhi a tutti, insegnare a riflettere sull’ importanza del valore dell’altro come persona nonché dell’amore nei confronti del prossimo, in particolar modo quando quest’ultimo è più debole.

Ad oggi, poi, consideriamo la scuola un posto sicuro, ma siamo convinti che sia realmente così? Nella gran parte dei casi, episodi di bullismo e di violenza fisica e verbale, avvengono proprio nelle scuole, tra compagni di classe che, invece di dare sostegno e aiuto all’altro, spesso finiscono con il denigrarlo o abbandonarlo magari proprio nel momento di maggior bisogno.

Talvolta la generazione odierna viene considerata una “generazione bruciata” il che è così solo perché a molti non è stato insegnato il rispetto nei confronti dell’altro e il peso delle parole.

Dopo tre anni dalla morte di Michele, la sua storia è tornata alla luce perché la madre, dopo numerose denunce, ancora ad oggi non ha ottenuto giustizia per suo figlio. Stanca di tutto questo ha chiesto aiuto al Pubblico Ministero di turno che, però, a tutt’oggi, non ha ancora trovato le prove per incolpare i compagni di classe e per rendere giustizia a una madre privata del suo unico figlio.

Se la società di oggi è realmente questa, come i più giovani potranno mai capire i valori fondamentali delle vita e l’importanza del rispetto? Da chi devono ricevere l’esempio? La “generazione bruciata” come potrà mai cambiare? Come mai i compagni di Michele, dopo aver letto la lettera, non hanno provato paura e la bruciante necessità di avvertire i genitori o di correre in soccorso di quel ragazzo, per evitare quel gesto irreparabile? La colpa non è solo dei giovani, ma di tutti coloro che hanno il potere di insegnare loro i sentimenti, come la scuola, la famiglia, la chiesa, le istituzioni. Si parla tanto di bullismo e di varie forme di violenza, eppure è triste e avvilente il vedere che, purtroppo, non cambia mai niente e che a prevalere sono spesso le parole e mai i fatti!

Paola Lanzetta I A musicale