L’emergenza Covid-19 ci ha impedito di recarci al cinema per evitare assembramenti. Così, molte delle nuove pellicole sono state caricate su piattaforme come Sky, Tim Vision, Netflix e altre. Il remake del cartone animato “Mulan”, diretto da Niki Caro, tra i film più attesi del 2020, è stato caricato sul canale Disney +.

Ho sempre amato la storia dell’eroina cinese. Incuriosita anche dalle polemiche e dall’insoddisfazione che leggevo sui social, ho pensato di verificare personalmente, secondo i miei gusti, se effettivamente sotto il fumo ci fosse dell’arrosto, cercando quindi di capire se questo nuovo “Mulan” fosse l’ennesimo capolavoro Disney o … un buco nell’acqua. Devo dire purtroppo che questo film non mi è piaciuto, soprattutto perché è andato a stravolgere non solo il personaggio stesso di Mulan, ma anche il messaggio che il cartone, e il poema tradizionale cinese a cui è ispirato, trasmetteva alle famiglie.

Il capolavoro Disney racconta la storia di questa giovane ragazza che si traveste da uomo e si spaccia per soldato, andando a combattere per l’impero al posto di suo padre, troppo vecchio e malato per affrontare una guerra. La Mulan del 1998 non sa nulla dell’arte bellica, non ha mai toccato un’arma e non è stata mai addestrata. Nonostante la sua impreparazione e il rischio di venire scoperta, ella riesce non solo a diventare un’abile guerriera, ma a salvare la Cina e a primeggiare sui suoi compagni maschi. Oltre a insegnare una storia antica, il cartone fa comprendere che una donna può dedicarsi, riuscendo molto bene, anche ad attività maschili e che quindi il suo ruolo e le sue aspirazioni possono andare oltre il semplice matrimonio. Mulan insegna che c’è bisogno di coraggio per cambiare le cose, che l’età o il sesso non devono essere ostacoli, che se si vuole una cosa bisogna lottare per ottenerla, che probabilmente si dovrà combattere contro tanti pregiudizi stereotipati e magari anche soffrire, ma che alla fine la buona volontà e l’impegno ripagano sempre.

Non si può dire lo stesso, però, del remake del 2020. Fa Zhou, il padre della protagonista, l’addestra sin dalla tenera età e le insegna a coltivare il suo “Chi”, una sorta di spirito guerriero che bisogna potenziare nel corso degli anni. La piccola è estremamente abile e si destreggia come una vera dea della guerra, ma il piacere che suo padre prova nel vederla così capace si scontra con la realtà dell’epoca, secondo la quale il “Chi” era una caratteristica prettamente maschile. Per questo motivo, egli teme che questa forza interiore di Mulan la porterà a non trovare marito e a disonorare la famiglia. Quindi il pericolo che lei corre quando decide di arruolarsi viene completamente vanificato dall’introduzione di questo fantomatico super potere. Mulan non si mette in gioco, non cresce come persona né ha bisogno di impegnarsi più di tanto, dato che è già fortissima. Si cade inoltre in una contraddizione, dato che suo padre, lo stesso che la stava addestrando pochi minuti prima, le dice che deve tenere a bada il suo “Chi” perché è donna. Ma se questa sua forza interiore rappresentava una minaccia per il suo onore, perché addestrarla e farla appassionare alla guerra?

Viene inoltre introdotta la strega mutaforma Xianning, personaggio piatto e inutile che per chissà quale motivo grida ai quattro venti i piani di guerra dell’esercito a cui appartiene. La sua finalità sembra sia solo quella di rendere più lungo il film. Non si spiega inoltre perché sia sottomessa a Bori Khan, villain della storia, imparagonabile a quello del precedente cartone, avendo poteri straordinari derivati dal suo “Chi”, che potrebbe usare per sottomettere il suo carceriere e prenderne il posto. Né si comprende perché il “Chi” diventi una sorta di qualità magica e non più una forza guerriera. Gli aiutanti di Mulan, il grillo porta fortuna e il drago Mushu, sono stati completamente eliminati, forse per rendere il film più verosimile, e sostituiti rispettivamente da un ragazzo che si definisce “nato sotto una buona stella” e una fenice che compare sì e no tre volte; ma la strega mutaforma e gli assurdi combattimenti tutto sono tranne che realistici.

Altro aspetto della storia che viene totalmente e terribilmente modificato è l’amore che nasce fra Mulan e il generale Li Shang. Nel film il ragazzo si chiama Honghui e non è il generale, bensì una semplice recluta. Questo perché il produttore trovava che “in un’epoca come quella del movimento MeToo, avere un ufficiale al comando che ha anche un interesse amoroso e sessuale” potesse mettere a disagio. Nel film vediamo, quindi, Mulan rispondere in maniera fredda e sprezzante ai gentili atteggiamenti di Honghui. In realtà il rapporto che c’era fra i due nasceva da una stima e da un’ammirazione reciproca: Li Shang non aveva mai molestato Mulan o abusato della sua posizione, non aveva mai fatto nulla che potesse urtare il delicato senso del pudore del pubblico femminile o delle femministe in sala. Che poi, se proprio si è voluto fare del film una pellicola a favore del movimento femminista, che senso ha avuto inquadrare Bori Khan come carceriere di Xianning? Egli abusa a suo vantaggio del potere psicologico che ha sulla strega. Perché eliminare l’amore di Mulan e Li Shang e fare spazio a questa sorta di relazione tossica fra un bandito e una strega che si accorge di tutto, tranne del fatto che è la pedina di un uomo borioso che la userà sempre?

Tralasciando il pessimo doppiaggio, altra cosa inaccettabile è il fatto che le scene più importanti sono state cambiate, rendendo il film noioso e privo di epicità; ad esempio, quando la protagonista causa una valanga di neve per uccidere gli Unni, sviene e si risveglia quando ormai tutti hanno scoperto il suo segreto. Il cambiamento tra le due scene è legato al cruccio di Mulan, perennemente in lotta con se stessa perché non riesce a rispettare l’ultimo dei tre obblighi del guerriero: essere sincera. Fingendosi un uomo vive di menzogne e inganna coloro che la stimano. Il concetto viene poi sottolineato dalla strega che, durante un duello, le dice che il suo “Chi” si indebolisce perché lei non ha avuto il coraggio di accettare la sua identità. Così Mulan si scioglierà i capelli e andrà a combattere rivelando di essere una donna.

Ma, siamo seri? Prima di scontrarsi con Xiannig, Mulan combatte facendo milioni di acrobazie al minuto, uccidendo nemici su nemici … Perché il suo “Chi” dovrebbe essersi indebolito? E soprattutto, perché si cambia mille volte la definizione del Chi? Dopo un assurdo combattimento con Bori Khan e la morte della strega-martire che scopre la via del bene e salva Mulan, arriva il tanto atteso finale che è forse l’unica scena senza problemi: cinque minuti, tutto sommato accettabili e carini, che però non possono compensare l’orrore dell’intero film.

Quindi, questa pellicola non può definirsi un capolavoro come il cartone del 1998, in quanto tutti i valori e il senso della storia vengono eliminati o cambiati, ai fini della realizzazione di un’immagine della principessa Disney indipendente e senza difetti. Definirei questa una brutta copia, non solo del cartone animato, ma anche del poema tradizionale a cui è ispirato.

La Mulan del 2020 è diventata una falsa eroina che sventola la bandiera anarco-femminista.