Nell’ultimo decennio molti miliardari si sono impegnati in attività benefiche. La dispersione scolastica, la lotta ai mutamenti climatici, la ricerca nei vaccini, la lotta alla fame nei Paesi poveri e contro la povertà in genere sono diventate le nuove frontiere della filantropia. Bill Gates ha creato dieci anni fa un progetto che si chiama “The Giving Pledge”, aperto a miliardari e businessmen che donano parte dei loro patrimoni per scopi benefici. All’inizio hanno partecipato 62 miliardari, ma alla fine del 2020 il numero dei ricchi partecipanti è arrivato a 216. Secondo il “Wealth-X and Arton Capital Philanthropy Report”, nel 2015 le donazioni sono aumentate del 3% rispetto all’anno precedente, che già aveva registrato una crescita del 6,4%; e la crescita continua.
L’altra faccia della medaglia è che i miliardari-filantropi investono in fondazioni private spesso possedute dagli stessi miliardari e con possibilità di essere trasmesse agli eredi. Nel mondo ne esistono 200. Gran parte di queste fondazioni operano insieme a multinazionali e per ogni intervento seguono analisi costi-benefici. Le regole del mercato, infatti, sono considerate apportatrici di soluzioni più efficaci per risolvere i problemi globali rispetto al settore pubblico, considerato meno efficiente e paralizzato dalla burocrazia. Il ritorno economico è il presupposto per agire essendo il risultato commisurato al profitto. Cosicché sono ampi gli investimenti in malattie che hanno bisogno dello sviluppo di vaccini, mentre non si investe in polmonite, diarrea e malnutrizione, responsabili del 75% della mortalità infantile nei Paesi più poveri. Le logiche del mercato impongono le priorità strategiche.
C’è da aggiungere che le fondazioni private godono di grandi benefici fiscali ovvero se un miliardario investe un miliardo in una fondazione privata su 750 milioni paga tasse zero. A fronte di ciò le stesse fondazioni possono investire in attività caritatevoli solo il 5%, vuol dire che il 95% resta in cassa e oggi si contano nelle casse delle fondazioni oltre 1,2 mila miliardi di dollari. Ammonta, invece, a 51,6 miliardi di dollari, secondo il magazine Forbes, la cifra che in 5 anni è stata effettivamente usata per scopi caritatevoli.

La beneficenza è sempre lodevole, anche quando si tratta di una piccola parte rispetto a quanto è confluito nella fondazione. Per questa ragione ripulisce dall’immagine un po’ deludente di tanti miliardari che si sono arricchiti in maniera poco chiara. La generosità spazza via ogni ombra. Ne è un esempio Soros, spregiudicato speculatore che oggi sovvenziona i partiti politici e i movimenti in Europa che promuovono lo stato di diritto, le politiche di accoglienza e la libertà di espressione. È il caso di Bill Gates che ha finanziato la distribuzione di contraccettivi ad oltre 120 milioni di donne nei Paesi più poveri e alcune ricerche su vaccini per svariate malattie. Il fondatore della Microsoft è considerato il più grande filantropo del pianeta, ma non si è arricchito in maniera limpida. Difatti nel 2004, quando era ancora alla guida di Microsoft, è stato condannato dall’Unione europea a pagare oltre 497 milioni di euro di multa per abuso di posizione dominante. Nel 2012 negli Stati Uniti è stato condannato per elusione fiscale: ha blindato nei paradisi fiscali oltre 21 miliardi di dollari. Jeff Bezos, l’uomo più ricco del mondo, ha creato il “Bezos Earth Fubd”, fondazione da 10 miliardi di dollari per sostenere la lotta al cambiamento climatico. Tuttavia Amazon, la multinazionale che Bezos ha fondato nel 1994, contribuisce in maniera sostanziale ad aumentare l’effetto serra. Difatti nelle consegne a domicilio in tutto il mondo non vengono usati mezzi elettrici, ma spesso i furgoni utilizzati dai fornitori sono vecchi e inquinanti. È noto, poi, che Amazon preferisce pagare le tasse nei Paesi a fiscalità agevolata e non dove i profitti vengono prodotti. Anche Marck Zukeberg, fondatore di Facebook, ha abbracciato la causa filantropica e a febbraio del 2020 è finito nel mirino del fisco perché avrebbe evaso con la sua attività oltre 9 miliardi di dollari.
C’è un altro aspetto interessante da considerare. I soldi investiti in beneficenza implementano il potere personale e politico dei miliardari-filantropi. Bill Gates è il più grande donatore dell’OMS, eroga più fondi per la salute globale di qualsiasi Paese. In questo modo, però, ne orienta le politiche. Chi dona molti soldi condiziona i progetti che devono essere sviluppati. Non a caso l’ultima donazione è di 530 milioni di dollari nella ricerca del vaccino contro il Coronavirus.
Il consistente impegno filantropico, però, non ha impedito la crescita del patrimonio personale di Bill Gates, passato da 54 a 120 miliardi di dollari. Questa crescita probabilmente è dovuta a due fattori concomitanti: la fondazione di Gates riceve consistente fondi pubblici per le sue attività di beneficenza, senza che l’istituzione pubblica abbia voce in capitolo; allo stesso tempo la fondazione promuovendo lo sviluppo di un Paese povero ispirato alle tecnologie informatiche certamente avvantaggia la Microsoft.
A questi livelli, la filantropia è un lusso da ricchi e apporta vantaggi anche ai benefattori. Alla radice c’è sempre l’interesse. Le attuali fondazioni, gestite da miliardari, tuttavia hanno dato vita a meccanismo che ha cambiato natura alla beneficenza. In nome dei buoni propositi vogliono cambiare il mondo, ma muovono capitali talmente grandi da sostituirsi agli Stati nelle politiche sociali, imponendo la loro visione. Intanto la Banca Mondiale denuncia la crescita continua di diseguaglianze e povertà.
Il ricco filantropo sarà l’eroe che salverà il mondo o salverà solo un sistema da lui stesso creato per proteggere la sua ricchezza? Ci salverà la ricchezza o la consapevolezza che ogni singolo essere vivente di questo pianeta è un dono prezioso da proteggere?