Dopo aver intrapreso un’intensa carriera politica, riuscendo anche a diventare priore,
Dante fu costretto ad abbandonare per sempre la sua amata Firenze. Infatti i Guelfi
neri avevano assunto il controllo della città e molti loro avversari politici, tra cui Dante,
furono costretti ad andare in esilio. Dante fu condannato per baratteria, cioè per
corruzione, nel 1302 e da allora trascorse gli ultimi vent’anni della sua vita
peregrinando. Il Sommo Poeta si spostò tra numerose città, come Bologna, Verona,
Pisa, Treviso, Ravenna. Questa situazione gli permise di conoscere realtà diverse
rispetto alla sua e soprattutto di comprendere che il particolarismo delle civiltà
comunali, che lui aveva sempre difeso, era in realtà soltanto fonte di disgregazione e
di conflitti. Da quel momento Dante si fece portavoce del sogno di un Impero
universale e di un’umanità unita. Egli era convinto che, descrivendo le ombre del suo
tempo, gli uomini potessero ritrovare la strada giusta e con questo intento iniziò a
comporre la Commedia. Dunque il periodo dell’esilio, sicuramente il più buio per
Dante, è quello più importante per noi, poiché il frutto di quegli anni durissimi è la nascita di un
assoluto capolavoro della letteratura italiana, quello che oggi chiamiamo la Divina Commedia.