“Dante Alighieri, colui che giudica tutti, nella sua opera giudica anche sé stesso”.
Indenne da altre colpe, il suo animo cede ad un peccato, alla superbia intellettuale. Nella vita e nelle opere, più volte Dante manifesta con vivo orgoglio la coscienza della propria superiorità intellettuale e si sente degno di “un’imperitura investitura”.
Alcune pagine del Convivio esprimono tutta la soddisfazione di chi è ben consapevole di aver raggiunto, attraverso la filosofia, una superiore cultura. Egli appartiene a quella categoria di uomini a cui “perdere tempo… più spiace” (Purgatorio, canto III, v.78), poiché sanno di più.
I superbi, piegati sotto il peso di massi, che domano le loro teste orgogliose, si incidono nei suoi occhi. Nel canto XI- tra i più alti della Divina Commedia- spicca la figura di Oderisi, onore di Gubbio e maestro dell’arte della miniatura, che in termini di patetica sofferta saggezza ricorda a Dante la fragilità di ogni gloria umana e si sofferma sul rapido tramonto di un tipo di fama, quella artistica, particolarmente cara al poeta.
Simile ad un alito di vento che soffia ora da una parte ora dall’altra, la gloria passa da un artista all’altro, oscurando il nome di chi per qualche tempo si è imposto all’attenzione di tutti. Una spontanea simpatia, naturale fra chi coltiva gli stessi interessi, lega Dante ad Oderisi, sodali nelle arti e… nel peccato.
Entrambi, illuminati dalla verità possono misurare la fugacità della fama, inseguita in vita con tanta ostinazione; entrambi vivono momenti di umana tristezza, pensando al lento, inesorabile passare del tempo che cancella l’opera intera di una vita.
Oderisi, non più “onor di quell’arte che alluminar chiamata è in Parisi” ora che “più ridon le carte che pennelleggia Franco bolognese” (vv.82-83), si sofferma sulla fama delle lettere.
Il Cavalcanti ha oscurato la gloria del Guinizelli ma già un altro- Dante evidentemente- caccerà entrambi dal “nido” (v.99). Dante cede alla superbia nel momento stesso in cui la condanna?
Oderisi, in realtà, sottolinea la grandezza oggettiva del poeta, destinata comunque ad essere superata e dimenticata. Il senso drammatico e patetico delle parole del miniatore è nell’affermazione della precarietà dei successi umani fatta ad un poeta che, umanamente, avverte la grandezza della propria opera.
La vita, il mondo, le umane conquiste si scoloriscono ora che Oderisi le guarda dalla parte di Dio. Di fronte all’eternità la fama è effimera, inconsistente: è un “mondan rumore”, non un suono, che assume i nomi mutevoli e diversi di quei personaggi che diventano importanti.
Gli uomini dovrebbero avere a cuore la loro salvezza spirituale più che il modo in cui saranno ricordati sulla Terra. Le parole di Oderisi ispirano in Dante grande umiltà e abbassano il suo orgoglio: incisive, rendono il canto XI del Purgatorio ricco di implicazioni morali, che toccano aspetti universali della natura umana.