“Ogni anno, il 25 Novembre c’è l’usanza…”- Nicola Anaclerio, Dirigente Politiche Sociali Comune di Torre Annunziata-.

Il 25 novembre è la giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne, ricorrenza voluta dalle Nazioni Unite e istituita il 17 dicembre 1999. E’ stata scelta questa data in memoria delle sorelle dominicane Mirabal, attiviste politiche, brutalmente violentate, torturate e massacrate a colpi di bastone, per essersi opposte al regime sanguinario del dittatore Trujillo. Una giornata importante, che tiene alta l’attenzione su un fenomeno attuale e dilagante e che deve far sentire tutti partecipi in termini emotivi, professionali e politici. Il 25 novembre non deve essere un giorno in cui  commemorare una ricorrenza, ma un giorno in cui, anno dopo anno, devono essere stilati bilanci su quello che è stato portato a termine e su quello che deve essere ancora fatto, affinché le donne non siano più oggetto di soprusi. Infatti, una donna su tre, almeno una volta nella vita, è vittima di violenze fisiche, sessuali o psicologiche; ogni giorno in Italia si verificano 89 casi di abusi sulle donne e, dall’inizio dell’anno ad oggi, sono stati registrati 178 casi di femminicidio in Italia, 11 dei quali solo in Campania. Questi numeri sono frutto di forti condizionamenti che, in tutti i tempi, hanno reso difficile il cammino della donna, umiliata, maltrattata, subordinata all’uomo, ridotta persino in schiavitù. La violenza maschile sulle donne, infatti, affonda le sue radici nella storica, ma ancora attuale, disparità fra uomini e donne. L’uomo maltrattante sottopone la donna ad un meccanismo chiamato “spirale della violenza”, che inizia con battute svilenti e continua con atteggiamenti aggressivi, fatti di violazione della privacy, di minacce, ricatti, insulti, aggressioni fisiche, psicologiche e sessuali, che fanno sentire la donna incapace, debole, impotente, totalmente dipendente dall’uomo. Questi atteggiamenti aggressivi vengono, poi, subdolamente alternati a momenti di calma e tranquillità, solo apparenti, che confondono ulteriormente la vittima, indebolendola.

Il monitoraggio statistico, però, della violenza di genere, fornisce un dato che, generalmente, è sempre sottostimato rispetto a quello reale e questo rende i numeri  approssimati per difetto. Infatti, il sommerso nascosto che si cela per paura, non è facile da portare a galla. Per una donna, infatti, andare a denunciare quello che accade all’interno delle mura domestiche, impenetrabili dall’esterno, non è semplice. Denunciare un marito, un compagno, un fidanzato, significa uscire dal privato, svelando all’esterno meccanismi di un amore malato, accettato per debolezza.  A sostegno di queste donne è importante creare una stretta sinergia e collaborazione fra le istituzioni e, in primo luogo  i centri anti-violenza, fondamentali questi ultimi in quanto sono i luoghi del primo ascolto, della prima accoglienza, dove, con il lavoro sinergico di assistenti sociali, psicologi e avvocati, le donne vengono accolte, prese in carica e accompagnate in un percorso di fortificazione, che permette loro di trovare il coraggio di denunciare e di non tornare più indietro. Spesso, questi centri si occupano anche del loro reintegro nella società, attraverso l’inserimento in percorsi lavorativi, in quanto, solo attraverso l’indipendenza economica, queste donne riescono a riconquistare forza e consapevolezza delle loro capacità. Importanti sono, poi, anche le forze dell’ordine, che devono ascoltare e saper raccogliere pezzi di vita dolorosi con una delicatezza e una comprensione che deve andare ben oltre le regole del diritto, delle leggi e delle norme. Proprio queste ultime dovrebbero essere espresse con definizioni più chiare e immediate, come il “Codice rosso”, legge che impone all’autorità giudiziaria di raccogliere la denuncia e di ascoltare la donna dopo soli tre giorni dalla denuncia stessa. Questo farebbe sentire queste donne tutelate, cosa che le convincerebbe a denunciare. Ricorrere, infatti, all’aiuto di una divisa significa non dover avere, in seguito, bisogno dell’aiuto di un camice bianco.

Detto questo, però, bisogna anche dire che le sole norme, le sole repressioni non bastano a garantire il rispetto della donna, in quanto il problema dipende dalla mancanza di un’educazione ai valori. Alla base ci deve essere la formazione delle coscienze, fatta dalle famiglie, ma soprattutto dalle scuole. Bisognerebbe cominciare a formare le coscienze dei ragazzi  fin dalla scuola primaria, per imprimere  nei maschi, la cultura del rispetto della donna che, ahimè, ai più è sconosciuta. Allungare una mano su una donna per usarle violenza o solo per farle una carezza senza il suo consenso è inconcepibile. Analoga formazione dovrebbe essere fatta anche sulle ragazze, alle quali dovrebbe essere insegnato il rispetto di se stesse, cosa che le renderebbe capaci di rifiutare rapporti che, fin da subito, si preannunciano malati. A ciascuna ragazza si dovrebbe insegnare a non concedere il proprio cuore ad un uomo che non le rispetta. Solo quando si saranno formate le coscienze sarà possibile parlare di un effettivo contrasto alla violenza di genere.

Di tutto questo si è parlato anche nell’incontro tenutosi presso Villa Tiberiade, giovedì 25 novembre, evento voluto fortemente dal centro anti-violenza “Eirene”, che, senza sosta, lavora sul territorio di Torre Annunziata. All’evento, oltre al sindaco oplontino Vincenzo Ascione, al presidente del Tribunale torrese Ernesto Aghina, al procuratore della Repubblica Nunzio Fragliasso, al parroco del Rione Sanità Antonio Loffredo e a tanti altri esponenti di varie istituzioni e forze dell’ordine, erano presenti anche numerose scolaresche, accompagnate dai rispettivi presidi e insegnanti delle varie scuole superiori, presenti sul territori di Torre Annunziata. Durante l’evento è stato anche presentato il libro “Amore senza lividi- Storie di guerriere senza paura”, scritto da Chiara Nocchetti e da Benedetta De Nicola. Questo libro racconta le storie di violenza e di soprusi di nove donne, che hanno trovato la forza di reagire, di riprendere la propria vita in mano e di rinascere. Molto toccanti i racconti di due donne, in passato maltrattate dal loro uomo, che, con i loro interventi, hanno condiviso  pezzi di vita lacerati dalla violenza. Una delle due ha toccato particolarmente gli animi degli studenti con parole che sono arrivate dritte al cuore: “…sono qui perché si possa PREVENIRE la violenza e non soltanto rimediare ad essa; sono qui per parlare alle donne si, ma soprattutto agli uomini. Mio padre mi ha insegnato che a comandare è l’uomo; il mio ex marito mi ha insegnato che la violenza nasconde sempre una persona profondamente debole, che rende vittima un’altra altrettanto debole ed inerme; mio figlio, suicidatosi a soli diciassette anni, mi ha insegnato che ci vuole un solo minuto per concepire una vita e un solo minuto per morire. Tutto il tempo che mi è concesso è solo un minuto per volta, lo stesso minuto in cui ho parlato a voi. Ho deciso di vivere minuto per minuto affinché questa vita non mi scivoli dalle mani e che sia dignitosa e meravigliosa per me, mia figlia e per tutte le persone che mi circondano”.

Queste due donne, come tante altre, oltre ai vari centri e alle varie istituzioni, hanno trovato un valido aiuto  nelle “forti guerriere”, presenti anche loro all’evento. Si tratta di un gruppo di donne del Rione Sanità di Napoli, che funge da antenna in questo quartiere così difficile. Infatti al funerale di Fortuna Bellisario, donna uccisa dal marito a colpi di stampella, le amiche della vittima non permisero a nessun uomo di portare la bara fuori dalla chiesa. Subito dopo la cerimonia, chiesero al parroco, Antonio Loffredo, di potersi riunire in un’associazione che prese, appunto, il nome di “Associazione Forti Guerriere”, composto non solo da donne che sono riuscite a venire fuori da quest’incubo, ma anche da donne che, sebbene non abbiano vissuto questo problema, vogliono sostenere, con forza e caparbietà,  tutte le altre donne che si trovano in questa condizione di paura paralizzante.

Paola Lanzetta IIAM.