“Borgo sud” è un  romanzo di Donatella Di Pietrantonio, di casa editrice Einaudi, pubblicato nel 2020 , che ha da subito riscosso molto successo, tanto da essere candidato al premio Strega 2021. È il continuo di un libro che mi ha appassionato molto, “L’Arminuta”, ma non ho riscontrato lo stesso piacere nel leggere questo. Probabilmente il mio sarà un parere insolito ma da questo libro mi aspettavo molto di più. Molti valori colti nella lettura del primo romanzo non sono riuscita a ritrovarli. Non mi è sembrata una storia coinvolgente ma un semplice racconto romanzato. Le protagoniste, chiuse nel loro ruolo, trasmettono sempre le stesse emozioni e sono intrappolate nelle loro vite. Tutto comincia quando Adriana bussa alla porta della sorella con un neonato tra le braccia e tanto scompiglio vitale. Non si vedono da un po’, e sua sorella nemmeno sapeva che lei aspettasse un figlio. Entrando nell’appartamento della sorella e di suo marito, Adriana, in fuga, portatrice di disordine, evidenzierà le mancanze del loro matrimonio. Nel corso di tutta la vicenda il personaggio di Adriana, sicuramente complesso e profondo, si mostra come una donna selvaggia e irrequieta, tendendo a ripetersi nelle azioni e a rendere la storia turbolenta ma anche monotona. Infatti gli avvenimenti che si verificano dipendono quasi sempre dal suo comportamento, dai suoi errori e dalle sue scelte. Non sono stata particolarmente colpita da questo libro non per la mancanza di significato o di messaggi trasmessi ma soprattutto per gusto personale. Giudicherei i fatti narrati come un susseguirsi di pericoli, vite disordinate, scomparse ed errori, tutto all’interno di una realtà abbastanza violenta e triste. Leggere storie di famiglie in cui si finisce per essere addirittura nemici aiuta, senza dubbio, a riflettere su quanto siamo fortunati a vivere una vita serena e agiata in famiglie unite e amorevoli. Significante è il rapporto tra le due sorelle, anche se ho preferito il modo in cui la scrittrice lo ha raccontato nel romanzo “L’Arminuta”, quando le ragazze affrontavano infanzia e adolescenza insieme prima di separarsi. Qui infatti la storia diventa più complicata e il loro rapporto sempre meno forte e sincero. L’autrice si sofferma principalmente su una serie di disgrazie, dolori e sofferenze, tralasciando i veri sentimenti familiari e utilizzando un linguaggio spesso poco sensibile e, anzi, brusco. Proprio questo modo di scrivere non mi ha permesso di entrare in empatia con i personaggi e di immergermi completamente nelle loro vite, confondendomi ancora di più, inoltre, con i numerosi salti temporali. Infatti i flashback risultano essere eccessivi e fastidiosi e invece di aggiungere tensione alla vicenda la rendono più noiosa e confusionaria. Anche il rapporto tra marito e moglie, in entrambe le coppie, viene trattato in maniera acida. Infatti nel caso di Adriana e Rafael, viene mostrato un amore tossico e violento che sfocia inevitabilmente in liti e fughe. Per la sorella e Piero, invece, l’amore è apparentemente quasi fiabesco, tra loro non ci sono problemi, mai una lite, mai un’incomprensione, anche se mancano i figli. Alla fine però, colpo di scena, il loro amore si scopre essere fatto di maschere, bugie e finti sentimenti. Un’altra certezza che viene meno. Piero infatti rivela alla moglie di essere omosessuale e di frequentare da mesi altri uomini. La fine di questo amore, raccontata all’interno di una serie di sventure, fa davvero rattristire il lettore, provocando sgomento e malinconia quasi da indurlo a interrompere la lettura. Un altro aspetto particolare è la continua alternanza spaziale tra Abbruzzo mare, Abbruzzo città, e le città oltre le Alpi, come Grenoble, dove la protagonista si era trasferita per lavorare. Questo forte attaccamento ai luoghi crea una sorte di ambiente chiuso, in cui è sempre presente il passato e da cui sembra impossibile staccarsi. Tutte queste piccole cose complessivamente non mi hanno fatto apprezzare molto la lettura del romanzo che sicuramente, rispetto al primo, consiglierei molto meno.