“Ora sono diventato Morte, il distruttore di mondi”

J. Robert Oppenheimer

 

Da quando la guerra scoppiata tra la Russia e l’Ucraina si è imposta al centro dei dibattiti televisivi e politici e dell’attenzione dei media occidentali, il timore che possa verificarsi un attacco atomico anche più distruttivo di quello del 1945 tormenta l’immaginario collettivo.

Se da un lato questo agghiacciante scenario preoccupa i più, dall’altro sembra essere invece l’ambiente perfetto in cui dar luce a un altro capolavoro del mondo del cinema: Oppenheimer.

La pellicola, firmata dal genio di Christopher Nolan, è sorprendente sia dal punto di vista tecnico sia sul piano tematico. Per il primo punto, infatti, diverse sono le novità proposte da Nolan,  a cominciare dal fatto che si tratta del primo film con una pellicola da 65 millimetri in bianco e nero adatta per cineprese IMAX , mai utilizzata prima d’ora e prodotta appositamente per quest’opera.

Il rifiuto del regista di ricorrere alla CGI per realizzare le esplosioni e gli atomi in movimento non ha fatto altro che dare più valore al film, differenziandolo da molti altri.

Il Trinity Test, cioè l’esplosione di prova che avrebbe sancito la riuscita del progetto Manhattan, è stata infatti ricreata usando benzina, propano, magnesio e polvere di alluminio. La scena è stata poi ripresa utilizzando diversi tipi di telecamere ed obiettivi: ogni singolo elemento è stato filmato in modo che sembrasse molto più grande.  La sequenza ottenuta è quindi il frutto di un assemblaggio, reso possibile sovrapponendo 100 inquadrature ed oltre 400 elementi pratici.

Brillante è risultata l’alternanza di scene in bianco e nero e di scene a colori, utilizzata per scandire e rendere palese al pubblico i momenti in cui la narrazione era condotta da un punto di vista storico e oggettivo e quelli in cui, invece, i fatti erano filtrati dall’occhio di Oppenheimer e dalle sue emozioni. Uno dei punti di forza del film è la semplicità disarmante con cui viene spiegata al pubblico la fisica quantistica, rendendo così ogni persona in sala consapevole di tutti i “perché” e di tutti i “come”.

Ciò che sorprende dal punto di vista tematico è che, differentemente da quanto ci si potrebbe aspettare prima di andare al cinema, il film non è costantemente incentrato sulla scienza né si può considerare una drammatica narrazione delle vite innocenti spezzate dall’esplosione, dato che non ci sono scene dedicate ad Hiroshima e Nagasaki. Al centro di tutto vi è lui, il padre della bomba atomica: J. Robert Oppenheimer, interpretato dall’impareggiabile Cillian Murphy, che ha saputo non solo indossare gli abiti del suo personaggio, ma cucirsi addosso anche la sua pelle, la sua sensibilità. Il fulcro vero e proprio della trama è il tormentato mondo interiore di Oppenheimer che, accecato da quell’illusorio desidero, comune anche agli uomini odierni, di poter porre fine alla violenza con un atto dieci volte più violento, ha finito per macchiarsi di un terribile delitto.

Le conseguenze della sua creazione diventano per lui psicologicamente insostenibili. Ovunque cammini gli sembra di calpestare i cadaveri delle persone che ha ucciso. Certo, ha salvato la sua nazione, ma a che prezzo?  Gli altri personaggi politici agiscono in maniera fredda e distaccata, discutono cinicamente dell’uccisione di centinaia di persone, mentre risparmiano altre fiorenti città del Giappone dall’attacco atomico solo perché magari le hanno visitate in viaggio di nozze e hanno un bel ricordo.

Lo stesso presidente degli Stati Uniti, Henry Truman , non mostra compassione o rimorso per ciò che ha ordinato, ma anzi si indispettisce quando Oppenheimer smonta il suo entusiasmo dicendogli : “Signor Presidente, le mie mani sono sporche di sangue”. Nel corso del film J. Robert finisce per assumere lo spessore psicologico di un eroe sofocleo, acquisendo consapevolezza mano a mano che i fatti si svolgono, per poi comprendere ogni cosa solo alla fine, quando ormai è troppo tardi per cambiare finale alla storia che lui stesso ha scritto.  Le sue stesse motivazioni iniziali, rivolte ai colleghi per legittimare la realizzazione della bomba, gli risultano ormai vane, perché nulla può più cambiare la realtà dei fatti. Ormai lui è diventato morte, il distruttore di mondi. Oppenheimer è un uomo fragile e a tratti anche ingenuo, tanto da essere tradito da coloro che reputa suoi amici e dallo stesso Paese che ha servito. Questo però non fa di lui uno sprovveduto o una persona superficiale, ma anzi egli è ben consapevole, come riferisce ad Einstein in una delle scene, di aver realizzato qualcosa che può distruggere il mondo. Tuttavia, come il dio Saturno dipinto da Goya, pur essendo conscio della gravità di quello che sta facendo, non può fermarsi.

Il film ci spinge anche a riflettere sul presente, accendendo i riflettori anche sulla ripetitività strutturale della storia degli uomini, che dall’alba dei tempi escogitano piani per sterminarsi a vicenda. Il tormento morale del protagonista non può non farci pensare al recente dietro front dei creatori dell’intelligenza artificiale, che hanno scelto di fermarsi momentaneamente con i loro studi e di avvertire la popolazione che la situazione potrebbe drammaticamente degenerare.

Per tutti questi motivi il film di Nolan è uno dei migliori prodotti cinematografici degli ultimi anni, che dà voce ad una figura storica forse anche sconosciuta a molti spettatori, portando contemporaneamente sullo schermo le due facce della stessa medaglia, il padre della bomba atomica e il semplice uomo che vi si celava dietro. L’analisi psicologica è così profonda e accurata che non si può fare a meno di condividere la sofferenza insieme al protagonista. E la scena finale, che non descriverò perché – come tutto il resto del film – vale la pena guardarla con i propri occhi, è così destabilizzante da lasciare nel pubblico un senso di angoscia che sfocia in una domanda: non stiamo forse perpetuando, in un modo o nell’altro, l’annientamento di noi stessi e del nostro mondo?

E se stessimo continuando noi a scrivere la storia iniziata da Oppenheimer?

Chiara Cinquegrana