26 giugno 2023 a Rovigo: professoressa viene colpita al volto con una pistola a pallini da un alunno, durante la sua lezione. Sconvolta e incredula, viene ripresa col telefonino dagli alunni e i video finiscono in rete sul web. Nei confronti della professoressa sono stati presi provvedimenti, in quanto ritenuta incapace di gestire una classe di ragazzi.

Notte fra il 6 e il 7 luglio a Palermo: sette giovani, alcuni ancora minorenni, picchiano e violentano una diciannovenne dopo averla fatta ubriacare, trascinandola in un cantiere dismesso. La violenza viene ripresa con l’ausilio di un telefonino. Da una intercettazione, la madre di uno dei ragazzi, consiglia a questi ultimi di nascondere i cellulari, per evitare che fossero trovate  prove incriminanti, e suggerisce al branco di descrivere la ragazza come una poco di buono.

22 settembre 2023 a Brescia: una ragazzina di sedici anni viene picchiata in un sottopassaggio. Ad aggredirla con calci, pugni e sputi, due coetanee. Diversi i passanti che, invece di intervenire per aiutarla, riprendevano la scena con i telefonini. Il sindaco in un’intervista ha esordito dicendo:” Sicuramente l’episodio è grave, ma non bisogna dargli troppa ridondanza; al contempo non bisogna comunque arrendersi nel trovare un rimedio a tutto ciò”.

3 ottobre 2023 a Cesena: ragazzina pestata da tre compagne  perché, durante il compito in classe, non aveva fatto copiare loro quest’ultimo. La preside prende le distanze dall’accaduto in quanto il fatto si era svolto fuori dalla scuola e non durante le ore di lezione.

Questi sono solo alcuni degli episodi di violenza che negli ultimi mesi hanno riempito le pagine dei giornali e che vedono come protagonisti dei giovani, il più delle volte minorenni. Eventi che, se da una parte disorientano per l’efferatezza della brutalità riversata sulle vittime, dall’altra descrivono perfettamente il quadro di una società contemporanea malata in cui non si riesce ad avere la percezione della gravità di ciò che si fa, in cui si guarda senza muovere un dito e in cui si incita alla violenza o si filma l’accaduto per avere un video da postare sul web.

Ma dov’è finita la coscienza? Dov’è finita l’empatia? Dove sono finiti i valori di una società che sapeva distinguere ciò che era bene  da ciò che non lo era? Prima l’educazione di un ragazzo non era appannaggio solo della famiglia o della scuola e della chiesa, ma di una comunità intera: della vicina di casa, che ammoniva l’uso di un’espressione maleducata; del bigliettaio dell’autobus, se non veniva ceduto il posto ad una persona anziana; del salumiere, se scopriva a rubare una caramella. Col tempo l’indifferenza totale ha preso il sopravvento. Le istituzioni distratte, non sono state capaci di valutare i segnali violenti, che spesso si nascondono dietro un’apparente normalità e che arrivano non solo dalla sfera dei cosiddetti “ragazzi a rischio”, ma sempre più spesso anche dai ragazzi “normali” e di buona famiglia. L’individualismo è diventato lo scopo da perseguire. Il progresso e la carriera hanno acquisito sempre maggiore importanza e così i genitori hanno finito con l’avere sempre meno tempo da dedicare ai figli. Hanno sostituito la loro figura con gli smartphone; hanno preteso che i loro figli primeggiassero in ogni campo; hanno giustificato episodi da punire, riducendoli a delle semplici ragazzate; hanno spalleggiato i ragazzi, destituendo di autorità la figura del docente; hanno preferito i “si” ai divieti, per comodità, dimenticandosi che la coscienza dei giovani va plasmata fin dai primi mesi di vita, quando  sono ancora piccoli e gestibili. Sensibilizzare un bambino a provare sentimenti,  emozioni e capacità di condivisione fa sì, invece, che lo stesso possa strutturare una coscienza che lo renderà  un ragazzo e un uomo maturo dal punto di vista affettivo e relazionale. In caso contrario, si favorisce “un’immaturità affettiva”, che si manifesterà con l’assenza di sensi di colpa e di rimorso, che può anche sfociare in comportamenti delittuosi compiuti con freddezza ed indifferenza, come ci dimostrano gli episodi di cui la cronaca è piena. Mancando solidi pilastri di riferimento, i giovani crescono senza regole, senza limiti, senza autorità: le loro  azioni rimarranno impunite e non avranno consapevolezza della gravità dei loro comportamenti. Ciò a cui assistiamo, è il segno dell’inconsistenza di una società che ha permesso il dilagare della violenza nei giochi della Playstation, nel tifo, nella musica, nella politica, nei dibattiti televisivi, nelle normali relazioni interpersonali.

I social, poi, hanno amplificato il problema, in quanto hanno favorito il diffondersi in tempo reale di video o foto. Postare in rete la sopraffazione, spesso, mira a dimostrare la “forza” di chi ha bisogno di costruirsi un “ruolo” per nascondere agli altri e, forse, a se stesso la propria fragilità. L’altro diventa un “oggetto” da umiliare e annientare con il supporto di un gruppo che. Aiuta a sentirsi. Dal branco non si ha scampo, perché agire in gruppo.

Cosa fare? Come arginare tutto ciò? Le lacune educative e la mancanza di moralità non possono essere una giustificazione, anche perché questi ragazzi hanno la capacità di intendere e di volere e pianificano le aggressioni. Devono sicuramente essere puniti, ma come? Un politico, nel caso dello stupro di gruppo di Palermo, ha avanzato la proposta della “castrazione chimica” a chi si macchia di questo reato. Ma che senso avrebbe? Potrebbe questo bloccare la sua rabbia e la sua violenza?

Questi ragazzi devono essere sì puniti, ma le punizioni, per essere efficaci dovrebbero viaggiare di pari passo con una rieducazione. Oramai la loro indole si è strutturata così e non si può pretendere che di punto in bianco rispettino le regole. Più che altro quello che deve essere radicalmente modificato è tutto quello che ruota intorno a questi ragazzi. La famiglia, la scuola, le realtà territoriali devono assumersi le proprie responsabilità e ridiventare solidi punti di riferimento agendo con autorevolezza, sollecitando il rispetto delle regole e in primis dell’altro.

Paola Lanzetta IV A musicale