COSPITO, CHI È E PERCHÉ È DIVENTATO UN CASO
Nato a Pescara nel 1967, Alfredo Cospito è ritenuto uno degli elementi di spicco del mondo anarchico italiano.
Redattore del foglio anarchico rivoluzionario Kn03 (la formula chimica del nitrato di potassio, uno degli elementi per creare un fumogeno), che non circola più dal 2008, con la compagna Anna Beniamino – detenuta nel carcere romano di Rebibbia – ha creato un gruppo, che proprio da quella pubblicazione prendeva il nome. Dagli investigatori è considerato uno dei leader della Fai, la Federazione anarchica informale, movimento composto da vari gruppi dediti all’intimidazione armata rivoluzionaria e ritenuto dagli inquirenti un’associazione per delinquere con finalità di terrorismo. Cospito è in carcere già da 10 anni, accusato di svariati attentati, ma ciò che ha scaldato l’opinione pubblica e giudiziaria è che sia stata disposta per lui la detenzione in regime 41-bis, una misura detentiva che prevede la reclusione in isolamento, senza alcun contatto con l’esterno.
Cospito è il primo anarchico a finire al 41-bis, misura disposta lo scorso maggio per quattro anni. Dopo aver portato avanti un lungo sciopero della fame contro il regime di carcere duro e l’ergastolo ostativo, il Tribunale di sorveglianza di Roma ha respinto il ricorso della difesa e l’anarchico rimane tuttora al 41bis.
Sul caso Cospito è intervenuto anche il parlamentare Giovanni Donzelli, accusando alcuni deputati del Pd di aver incoraggiato il detenuto, dopo una visita nel carcere di Sassari. A riportare a Donzelli il contenuto di alcune conversazioni il sottosegretario Delmastro, attualmente rinviato a giudizio dal Gup di Roma nell’ambito del procedimento che lo vede accusato di rivelazione del segreto d’ufficio.
Il caso in questione ha sollevato una serie di dubbi, di natura giuridica e morale, sulla efficacia e anche sulla legittimità di una pena che, seppure riservata ai reati gravi, sembra ledere ogni diritto umano e sembra venir meno al principio costituzionale della rieducazione del condannato.
COSA PENSANO GLI ITALIANI DEL CASO COSPITO E DEL CARCERE DURO?
Noi studenti della VASA del “Liceo Pitagora- Croce” abbiamo deciso di trascorrere una giornata nel magnifico e vivace centro di Napoli, per un’intervista-sondaggio, mirata a testare non solo la reale portata mediatica del caso, ma anche la conoscenza della legge in questione e del dibattito da essa scaturito, ovvero a quale principio dovrebbe rispondere una pena giudiziaria.
Abbiamo posto ben 7 domande. Di seguito sono riportati i grafici e i dati delle persone intervistate, che mostrano (in percentuale) le risposte alle nostre domande.
Dal nostro sondaggio siamo riusciti a ricavare delle informazioni molto importanti, che permettono di capire l’opinione dei cittadini in merito ad interrogativi importanti.
Il primo relativo alla finalità della pena giudiziaria. La maggior parte degli intervistati ha dichiarato di essere a favore di pene giudiziarie che abbiano sempre e comunque una finalità “riabilitativa” ed “educativa”; una minima parte, invece, che una pena giudiziaria è semplicemente un provvedimento “punitivo” e che sia giusto, pertanto, commisurare la pena al reato.
Il secondo relativo più specificamente alla introduzione del 41Bis. La domanda che abbiamo deciso di porre è:
“la disposizione dell‘ordinamento penitenziario italiano introdotta dalla legge 10 ottobre 1986, n. 663, che prevede un particolare regime carcerario (per la rigidità delle prescrizioni carcerarie è anche noto come “carcere duro”),nonché più comunemente chiamata “41 Bis”, è giusta o no?” Il 25% degli intervistati si è dichiarato non a conoscenza di questa disposizione, mentre alcuni hanno risposto con secco “Sì”, chiarendo ovviamente le loro motivazioni, non sempre supportate però da una chiara visione della sua finalità, così come una buona percentuale che ha risposto: “solo in alcuni casi”
Proprio per questo abbiamo deciso di porre una domanda importante:
“La legge può corrispondere ad un bisogno di vendetta?”, le risposte sono state tutte uguali, cioè: NO. Allo stesso modo hanno risposto alla domanda provocatoria “Pensi sia giusta e legittima la pena di morte?”. Da ciò deduciamo che la maggior parte delle persone del nostro paese non chiede alla legge di vendicare il dolore, ma ben altro. E seppure, talvolta, confusa dai rumori mediatici, da cui estrapola spesso solo notizie superficiali, certamente non appare insensibile al tema del diritto alla conservazione della dignità umana.
Marco Maia, VA SA
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