Chi scommette sul declinio degli Stati Uniti d’America non può negare il rilievo di questa nazione, né tantomeno l’influenza che essa esercita nel mondo in ambito sociale, culturale e politico. Gli USA sono il terzo paese al mondo per superficie e popolazione e, indiscutibilmente, la prima economia mondiale e il più forte esercito tra tutti. Nonostante la loro supremazia non sia incontrastata come lo era 20 anni fa, questo paese è leader nella finanza, nella ricerca, nell’informatica, nella farmaceutica, nella produzione di energia e petrolio, in vari comparti industriali ed ha un tasso di crescita che noi europei possiamo a malapena sognare. Per questo le elezioni che ivi si svolgono sono estremamente importanti per noi; la vittoria di un candidato su un altro deve essere di nostro interesse poiché tutto ciò che accade al nostro ingombrante alleato ha ripercussioni anche sulla cara vecchia Europa, e non solo. Basti pensare al fatto che l’elezione di Trump nel 2016 ha inaugurato per molti quell’ ondata internazionale di populismo che noi conosciamo molto da vicino e che tuttora perdura. E quando lo stesso uomo si ripresenta per la terza volta alle elezioni ancora più agguerrito di prima, con un’avversaria che potrebbe diventare la prima donna presidente e con una nazione in cui il dibattito non era così aspro e polarizzato da decenni, è chiaro che il dibattito presidenziale assume un grande valore, non solo per gli accaniti appassionati di politica. Pertanto, per chi non è rimasto sveglio la nottata del 10 settembre a guardarlo e non ha avuto il tempo di recuperarlo in differita, ecco un’analisi del dibattito tra Donald Trump e Kamala Harris.

Trump ha avuto dalla sua quella di confrontarsi con la vicepresidente che ha guidato assieme a Biden il paese per quattro anni. È risaputo, parlare dai banchi dell’opposizione è sempre più facile, soprattutto per chi deve confrontarsi con chi ha dovuto affrontare due guerre, un ritiro dall’ Afghanistan preparato dai propri predecessori e una crisi inflazionistica che non si vedeva dagli anni ’80. Ed è proprio sull’economia che si è concentrata buona parte del dibattito. Su questo tema, Harris ha potuto rivendicare buoni risultati: una consistente crescita del pil, dell’occupazione, una ripresa del settore industriale e centinaia di miliardi di investimenti grazie ad una piano varato nel 2022. Trump ha però basato i suoi interventi sull’attaccare l’attuale presidenza come la peggiore della storia, per aver rovinato l’economia ed aver fatto schizzare l’inflazione (quest’ultimo tema, molto sensibile per l’americano medio, dato che lo vive in prima persona). Ha dichiarato di aver costruito durante la sua presidenza (con forse un pizzico di megalomania) la più forte economia che gli Stati Uniti avessero mai visto e che può rifarlo se verrà rieletto. Sul come può farlo, il tycoon non si è mai pronunciato, eccetto solo per aver detto innumerevoli volte di voler innalzare poderosamente dazi doganali a destra e a manca, per proteggere l’economia americana. Sul resto, ha ripetuto in più occasioni di aver un piano, a cui le persone dovranno fare affidamento per le sue doti di grande imprenditore. La Harris, al contrario, sin dal primo intervento è stata ben più concreta, proponendo, ad esempio, una deduzione fiscale di 50.000$ alle piccole imprese nascenti, una tassa per miliardari e grandi corporazioni per sostenere il debito e dichiarando un no all’imposizione di nuovi dazi, che, ha sostenuto, costeranno in media 4000$ l’anno a famiglia; ha detto quindi di voler continuare a concentrarsi su investimenti, forza lavoro, alla collaborazione con gli alleati. Inoltre ha cercato di rendersi empatica con la “middle class” (classe media) in cui ha rivendicato, a differenza del suo avversario, di essere nata e cresciuta e di volerla sostenere, tra le altre cose, con 6000$ di sussidi alle famiglie durante il primo anno di vita del bambino.

“The Donald” ha poi cercato di affondare da subito sul tema dell’immigrazione, uno dei suoi cavalli di battaglia. Ha denunciato la grande crescita del fenomeno migratorio durante l’ultima presidenza democratica che ha portato “milioni e milioni di persone negli Stati Uniti, che hanno rubato il lavoro ad afroamericani ed ispanici”(strizzando l’occhio a due importanti minoranze storicamente democratiche ma che, negli ultimi anni, soprattutto nel caso degli ispanici, si stanno sempre più spostando verso ambienti repubblicani, in quanto generalmente più conservatori dei bianchi). Per non farsi mancare niente, ha poi collegato la crescita del fenomeno migratorio ad un complotto dei democratici per far entrare negli Stati Uniti persone che poi sarebbero obbligate a votare proprio il partito dell’asinello. Ha poi sottolineato la correlazione tra aumento della criminalità e fenomeno migratorio (non si è fatto scrupoli a dichiarare che gli immigrati sono principalmente criminali). Quando il presentatore gli ha fatto presente che la sua affermazione sull’aumento della criminalità negli USA fosse falsa, lui ha proseguito, imperterrito, sul tema, talvolta rendendosi ridicolo, come quando ha detto che gli immigrati mangino i cani e i gatti dei cittadini americani. Ancora una volta il presentatore è dovuto intervenire, specificando che tale affermazione fosse una menzogna; il tycoon ha risposto che l’aveva visto in TV.

La Harris, a contrario, ha cerato di evitare il tema, per lei un tabù: l’amministrazione democratica lo ha effettivamente gestito in maniera ambigua e fallimentare. Tuttavia, ha marcato molto su quello della sicurezza, ricordando più volte il suo passato da procuratrice della California, in cui si distinse per un atteggiamento duro contro trafficanti di armi e droga. Ha poi cercato di stuzzicare Trump sugli eventi del 6 gennaio 2021 (in cui sostenitori del tycoon assaltarono in massa il Campidoglio di Washington dopo un tweet del loro leader), ricordando a tutti gli elettori come sia considerato, anche da alcuni suoi passati collaboratori, un vero e proprio pericolo per la democrazia e allo stesso tempo una barzelletta per il mondo intero. L’uomo si è trovato in difficoltà nel controbattere ma continuando a negare un suo coinvolgimento nei fatti di quel giorno.

Quando il dibattito è divagato sulla politica estera, l’ex presidente ha potuto nuovamente tacciare l’amministrazione democratica di incompetenza, sostenendo che se lui fosse stato presidente, nel 2022 Putin non avrebbe mai invaso la Russia e che, se venisse rieletto, farebbe cessare la guerra in un attimo. Ancora una volta, non si è espresso sul come, ma ha incalzato la Harris definendola marxista e odiatrice di Israele. L’avversaria ha invece da subito confermato il sostegno alla resistenza ucraina, nel più ampio quadro di un’Europa orientale minacciata dalle fauci dello tsar (ancora una volta, rivolgendosi direttamente a parte degli ascoltatori, in questo caso quelli di origine polacca). Ha poi confermato il sostengo ad Israele, facendo riferimento ad una generica proposta a due stati (su questo tema era in passato più radicale, ha col tempo moderato le sue posizioni).

Harris ha poi ribadito diverse volte come l’avversario sia una minaccia per il diritto all’aborto che, l’anno passato, è stato abolito a livello federale dalla corte suprema più conservatrice di sempre, in parte nominata dallo stesso Trump: in seguito a ciò ben venti stati hanno potuto vietarlo, con molti altri che lo hanno fortemente limitato. Il tycoon si è nuovamente trovato alle strette e ha tentato di dire che lui fosse favorevole all’aborto e che si fosse limitato a restituire agli stati la libertà di decidere sul tema. Ha invece più volte accusato la sfidante di voler sequestrare tutte le armi dei cittadini americani (come noto, diritto caro ai più negli USA). Harris ha seccamente negato, rassicurando gli elettori che anche lui e il suo vice sono possessori di armi (e probabilmente spezzando il cuore a milioni di progressisti).

L’ultima parte dello scontro è stata dedicata allo scottante tema della sanità, in cui Trump ha tentato di porsi come strenuo difensore delle assicurazioni private, accusando la sua sfidante di volerle vietare (cosa ovviamente falsa e anacronistica). Sull’ Obamacare, riforma del sistema sanitario per renderlo più accessibile ai più poveri varata durante la presidenza Obama, l’imprenditore ha detto di avere un piano migliore e meno costoso (lascio al lettore indovinare: lo avrà spiegato, questo piano?).

Purtroppo il dibattito si è dimostrato del tutto inadeguato sul tema del cambiamento climatico, dedicandogli solo un paio d’ interventi. Harris ha potuto rivendicare la grande mole di denaro per la transizione ecologica spesa durante l’ultimo mandato; ma, di fatto, non ha proposto nulla, dichiarandosi anche favorevole al fracking, un sistema di estrazione del petrolio particolarmente aggressivo ed estremamente inquinante (cambiando di nuovo opinione rispetto al passato, quando dichiarava di volerlo vietare; troppo grandi sono gli interessi che ci girano attorno). Trump invece non ha praticamente neanche avuto la decenza di parlarne, limitandosi a dire che vuole un’aria e un ambiente più puliti, non si capisce come dato che ha più volte sminuito l’energia solare e definito le centrali a carbone come “normali”.

L’appendice della discussione riassume al meglio i due profili differenti: i candidati dovevano fare un ultimo breve intervento che ha poi rappresentato la sintesi della prestazione dei due. Kamala Harris si è rivolta direttamente all’elettore, non solo democratico ma anche indipendente, repubblicano moderato; ha detto che nella sua campagna c’è posto per tutti, ha fatto riferimenti alla sua vita personale, alle sue origini nella classe media, ha cercato di mettere sul banco proposte, di esercitare empatia sullo lo spettatore rivolgendosi direttamente ad esso con un tono moderato ma entusiasta allo stesso tempo. Significativa la frase, in merito all’avversario, “ l’unica cosa di cui non sentirai parlare è di te, dei tuoi bisogni, dei tuoi sogni…” Trump ha proseguito come aveva cominciato, con un tono aspro e sprezzante, uno sguardo duro, spesso rivolto alla stessa vice presidente, chiedendole perché non avesse già fatto tutte le cose che ha promesso, ma quasi mai parlando del proprio di programma.

Del dibattito si è detto che Kamala Harris  è risultata nettamente vittoriosa e ciò sarà sicuramente importante per la sua campagna; ma se i fatti degli ultimi anni ci hanno insegnato qualcosa, dovremo stare molto attenti ad assegnare già la vittoria alla democratica. Trump, nonostante sia indietro nei sondaggi, ci ha abituati a ribaltoni finali e sottovalutarlo sarebbe un grave errore. Il paese è radicalmente diviso e solo il futuro potrà annunciarci l’esito del voto.