La vicenda di Cecilia Sala
Cecilia Sala, una giovane giornalista romana di 29 anni, è stata liberata dopo 21 giorni di ingiusta detenzione nel carcere di Evin, a Teheran, in Iran. Grazie all’intervento tempestivo del Governo Italiano e della Farnesina, nel pomeriggio di mercoledì 8 gennaio Cecilia Sala è atterrata all’aeroporto di Ciampino, riabbracciando finalmente la sua famiglia e alcuni membri della redazione di Chora Media.
L’arresto
Cecilia Sala è arrivata in Iran il 12 dicembre 2024 con un regolare visto giornalistico per registrare alcune puntate del suo podcast “Stories”, prodotto da Chora Media. Infatti, la giornalista aveva già realizzato a Teheran tre puntate: la prima incentrata sul patriarcato, la seconda sul nuovo Medio Oriente e la terza sulla comica iraniana Zainab Musavi. Il volo di ritorno di Cecilia era stato già prenotato per il 20 dicembre, ma il giorno prima, mentre si trovava nel suo albergo, è stata arrestata dalle forze di sicurezza iraniane con l’accusa di “violazione delle leggi della Repubblica islamica”.
Da quel momento, è stata immediatamente trasferita e reclusa in una cella di isolamento nel carcere di Evin, noto per le sue scarse condizioni igienico-sanitarie e per l’alta presenza di dissidenti politici, giornalisti e cittadini stranieri. In realtà, diverse organizzazioni umanitarie, tra cui Amnesty International, avevano già denunciato più volte l’uso sistematico della violenza e le torture nei confronti delle persone detenute. A tale proposito, come la stessa Sala ha raccontato in una telefonata ai genitori e al compagno Daniele Raineri, dormiva per terra con solo due coperte, le erano stati sottratti gli occhiali da vista e non aveva mai ricevuto il pacco con i beni di prima necessità precedentemente inviato dall’ambasciata italiana. Inoltre, le luci della sua cella, che erano sempre accese, non le permettevano nemmeno di riposare adeguatamente.
Tuttavia, la notizia del suo arresto è stata resa pubblica solo otto giorni dopo perché, come ha spiegato Chora Media, i genitori e le autorità italiane avevano chiesto di restare in silenzio nella speranza di arrivare alla scarcerazione rapidamente e per evitare che la vicenda divenisse un caso mediatico, ostacolando così le trattative diplomatiche.
Il governo iraniano non ha mai formalizzato e avanzato accuse precise contro la giornalista: il 31 dicembre il Ministero della Cultura e dell’Orientamento islamico ha affermato che Sala aveva violato la legge della Repubblica islamica dell’Iran e che era stata messa sotto inchiesta. Si trattava chiaramente di accuse vaghe e infondate, che hanno alimentato l’ipotesi dello scambio con Mohammad Abedini Najafabadi, un ingegnere iraniano che il 16 dicembre è stato arrestato in Italia, all’aeroporto di Malpensa, con l’accusa di aver fornito materiali elettronici e droni all’Iran, aggirando i divieti statunitensi. Nonostante le prime conferme da parte delle autorità iraniane riguardo alla connessione tra i due casi, è stato affermato successivamente che l’arresto di Sala non fosse correlato ad alcuna questione.
Le trattative diplomatiche
Fin da subito si sono mobilitati i servizi di intelligence per l’estero (l’AISE) e il governo italiano, che guidato dalla Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, ha avviato rapidamente una serie di canali diplomatici per ottenere la liberazione della giornalista. La Premier, affiancata dal ministro degli Esteri Antonio Tajani, ha incontrato il 2 gennaio l’ambasciatore iraniano per chiedere la liberazione immediata della giornalista e ha chiesto garanzie sulle condizioni di detenzione di Cecilia. Mentre la famiglia di Sala ha preferito mantenere un basso profilo per non ostacolare le delicate trattative, Giorgia Meloni è andata il 5 gennaio in Florida per incontrare il prossimo presidente degli Stati Uniti Donald Trump.
Tra i diversi temi discussi, c’era anche la liberazione della giornalista italiana e, secondo alcuni osservatori, l’incontro avvenuto serviva a garantire il supporto americano per risolvere la vicenda senza ulteriori tensioni con l’Iran. In seguito a ciò, Cecilia Sala è stata finalmente liberata, potendo riornare così in Italia. Tutto ciò rappresenta indubbiamente un’importante vittoria diplomatica per il governo italiano, ma quanto accaduto fa sollevare degli interrogativi a proposito dei rischi a cui vanno incontro i giornalisti che lavorano nei Paesi in cui la libertà di espressione è fortemente limitata. Nonostante quelle che potranno essere le inevitabili conseguenze legate alla vicenda, è fondamentale ricordare che questo caso non è solo una testimonianza di un ottimo uso della diplomazia e delle complesse dinamiche politiche che possono entrare in gioco nei conflitti internazionali. È anche un esempio della profonda sofferenza fisica e psicologica che Cecilia Sala ha provato per la lontananza dai suoi cari, per le condizioni precarie del carcere e per la mancata libertà. Eppure, nonostante tutta questa sofferenza e le tragiche circostanze, la giornalista ha trovato il coraggio di non arrendersi e non ha mai perso la speranza di ritornare in Italia per poter riabbracciare i suoi genitori. Proprio questa speranza è stata la sua forza per superare le difficoltà e per ricordare a tutti che, al di là delle politiche e degli equilibri geopolitici, è necessario un maggiore impegno internazionale per tutelare la libertà di stampa e proteggere chi lavora per raccontare la verità, che spesso paga un prezzo troppo alto.
Roberta De Rosa – III E scientifico
Credits – https://www.repubblica.it/esteri/2024/12/28/news/in_carcere_a_teheran_la_giornalista_cecilia_sala_vede_l_ambasciatrice_sto_bene_ma_fate_presto-423909466/
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