‘Il treno dei bambini’: Viola Ardone racconta la Napoli del dopoguerra
Il libro è ambientato nella Napoli del 1946, nel periodo post-guerra. Narra la storia di un bambino di nome Amerigo Speranza, che lascia il suo “rione”, per salire su un treno che lo porterà lontano e forse verso un futuro migliore, dovendo però rinunciare all’affetto della madre, Antonietta Speranza. Il treno che conduce Amerigo verso – come dicevano in quegli anni – l’alta Italia, viene definito dall’autrice, Viola Ardone, il “treno dei bambini” perché, in quel periodo, le donne comuniste organizzavano tali treni, che trasportavano gruppi di bambini che venivano affidati alle famiglie dell’alta Italia, garantendo così loro l’opportunità sia di una vita migliore rispetto a quella che erano abituati. La maggior parte della popolazione, però, non voleva che i propri figli salissero su quei treni, a causa delle voci che giravano sulla “fine” dei bambini che partivano: c’era chi diceva che i bambini venivano mangiati dai comunisti, chi invece pensava che tagliassero loro mani e lingua oppure che venissero fatti diventare delle saponette; altri invece invitavano le donne a far salire i propri figli su uno di quei treni. Una tra le organizzatrici di questo progetto era Maddalena Criscuolo (personaggio realmente esistito) che convince Antonietta a far partire il figlio Amerigo. Una volta arrivati nell’alta Italia, il protagonista e i suoi compagni di avventura vengono affidati ognuno ad una famiglia. Amerigo si ambienta molto rapidamente, anche grazie alla sua tutrice, Derna, che lo inserisce subito nel suo nucleo familiare composto da Rosa, cugina di Derna, Alcide, marito di Rosa, e poi Rivo, Luzio e Nario, figli di Alcide e Rosa. Dopo un inverno trascorso in quel di Modena, Amerigo ritorna a Napoli, nel suo quartiere con un bagaglio di sogni e un nuovo “amico”: il violino che gli ha regalato Alcide. Può finalmente riabbracciare la madre Antonietta e tutti gli amici, eppure, con il passare del tempo, avverte sempre più la mancanza di Derna e della famiglia di Rosa, e gli sembra strano che nessuna delle due gli abbia mandato alcun pacco o messaggio per mantenere i rapporti con lui, come era accaduto agli altri suoi amici. Viene però a scoprire, grazie a Maddalena Criscuolo, che in realtà Derna e Rosa gli avevano mandato molte lettere e pacchi contenenti cibo, ma che sua madre Antonietta non aveva voluto farglieli recapitare. Amerigo decide così di scappare via da casa per andare a vivere da Derna e solo dopo molti anni farà ritorno a casa, sciogliendo molti dei nodi ancora intricati della sua infanzia.
Il libro ha un finale toccante e commovente, non il “classico” lieto fine, e ciò lo ritengo un valore aggiunto. Devo ammettere che io personalmente non sono una grande lettrice, ma questo libro ha catturato tantissimo la mia attenzione e mi sono affezionata molto ai personaggi, principalmente ad Antonietta, la mamma di Amerigo. Mi sono piaciuti sia la storia narrata che il linguaggio mediante il quale l’autrice si è espressa, perché è semplice e scorrevole, non è troppo formale e ha quella nota, quella sfumatura di dialetto napoletano antico che, oltre a rendere ancora più realistica l’atmosfera, in un certo senso mi ha fatto sentire al sicuro e a casa. È un libro adatto a tutte le età e lo consiglio soprattutto a chi ha voglia di leggere una storia che non sia né troppo pesante né troppo infantile.
La parte che mi è piaciuta di più è stata la quarta e ultima sezione del libro: l’ho apprezzata molto perché Amerigo, quando ritorna nel suo quartiere e ripercorre lentamente la sua vita a Napoli con il pensiero, rivisitando la casa dove la madre lo ha cresciuto e dove si è consumato anche il loro non-addio, riesce a comprendere le ragioni delle scelte drastiche sue e di “sua mamma Antonietta”, a risolvere tutto il passato e a far pace con Napoli, con i suoi cari e soprattutto con la sua coscienza.
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