A distanza di un anno dalla comparsa del Covid-19, ci ritroviamo ancora a dover lottare contro un problema, la cui soluzione non è stata ancora raggiunta a pieno, ma che sta lasciando dietro di sé conseguenze psicologiche nei giovani.

Poco più di un anno fa, le vite degli italiani sono state stravolte dalla comparsa di un virus, nemico invisibile, che a poco a poco ha spazzato via la normalità. A risentire maggiormente delle conseguenze di questa situazione sono stati i più giovani, i quali, fino a pochi mesi fa, non conoscevano nemmeno il significato della parola “DID”. Le vite dei ragazzi, solo pochi mesi prima, erano spensierate, serene e gioiose. Ignari di tutto quello che sarebbe accaduto di lì a poco,  facevano progetti, organizzavano feste, uscite e incontri. Il covid-19, che nel resto del mondo già mieteva vittime, per gli italiani rappresentava solo una notizia ascoltata distrattamente al telegiornale. Il peggio ha avuto inizio nel momento in cui, nel nord Italia, si sono verificati i primi contagi. La situazione cominciò ad allargarsi a macchia d’olio e, Giuseppe Conte, ex presidente del Consiglio, emanò le prime restrizioni. Queste comprendevano anche la chiusura delle scuole per una settimana, su tutto il territorio italiano. La prima reazione dei giovani, che ,come il resto della popolazione, non aveva ben compreso la gravità di ciò che stava accadendo, fu di contentezza: ben sette giorni di riposo lontani dai libri! Ben presto, però, quella gioia si sarebbe tramutata in angoscia e paura. La scuola, le partite di pallone nei campetti all’aria aperta, il contatto ravvicinato con i compagni e i professori, le risa, gli abbracci, pochi mesi dopo sarebbero diventati solo un ricordo lontano. Sono passati poco più di dodici mesi da quel giorno, eppure, ancora oggi, l’Italia si ritrova nelle stesse condizioni di allora. I ragazzi, adesso, hanno compreso bene il significato della “DID”; trascorrono le loro giornate dinnanzi allo schermo di un computer. Se da una parte questa soluzione concede l’opportunità di seguire le lezioni direttamente da casa e di non perdere mesi di scuola, dall’altra, però, ha provocato un annientamento, dal punto di vista psicologico, dei ragazzi. Con la DID non vi è confronto, non vi è socializzazione. Paradossalmente le lezioni, pur essendo svolte in gruppo, lasciano ,in ogni ragazzo, un senso di solitudine, di disorientamento, in quanto non riescono a concretizzare quell’empatia  che si dovrebbe instaurare fra ragazzi e docenti.

Ad aggravare ancora di più questo disorientamento emotivo, vi è la certezza che queste restrizioni dureranno ancora per molto. Infatti, ad oggi, a causa della mutazione che il virus sta subendo, ci ritroviamo in una situazione ancor più grave di quella che si è palesata all’inizio della pandemia. Adesso non sono solo gli anziani ad essere maggiormente colpiti dal virus, ma anche i ragazzi, ed è proprio fra di loro che il virus sta provocando il numero maggiore di contagiati. Quest’incubo, che sembra non avere una fine, non ha visto, però, mutare solo il virus: a subire una mutazione sono anche i comportamenti delle persone, ed in particolare dei ragazzi. La paura ha lasciato il posto alla sete di libertà e la voglia di normalità ha preso il posto dei comportamenti rispettosi delle regole.

Ma perché le persone, e soprattutto i ragazzi, non accettano più quelle restrizioni che, in un primo momento, erano state accolte come la “manna dal cielo”?

Sempre più si vedono scene di assembramenti di ragazzi che, per strada e senza mascherina, sembrano vivere una realtà libera dal covid. Ci giungono notizie di feste private in locali compiacenti o di riunioni clandestine in case private. I giovani non sono più disposti a barattare la “normalità” delle loro vite con le regole di restrizione. Incoscienza? Imprudenza?

Non sempre. Rinunciare alle proprie abitudini e giungere all’accettazione di regole così categoriche, presuppone un periodo di elaborazione e una metabolizzazione che purtroppo i ragazzi, e non solo, non hanno avuto. Questo repentino cambiamento può scatenare inconsciamente, in alcuni, quella che è conosciuta come “reattanza psicologica”, ovvero la ribellione e il tentativo di riappropriarsi, a tutti i costi, di ciò che viene proibito. Si instaura una sorta di meccanismo difensivo, che spinge alcuni a negare la realtà e a sottovalutare i rischi.

Come superare queste barriere dietro le quali la mente si nasconde? Forse, la consapevolezza che il sacrificio di ognuno è importante per se stessi e per la collettività, potrebbe essere una strada ed è questo che oggi, più di prima, i ragazzi dovrebbero comprendere. Il loro sacrificio, che oggi costa tanta fatica, rappresenta  l’arma per sconfiggere questo nemico, che solo per il momento, sembra avere la meglio. I giovani dovrebbero mostrare la loro forza e combattere per dimostrare che il mondo su di loro può contare. Arrendersi adesso sarebbe un vero peccato.

Paola Lanzetta IAm