Il ritmo incalzante, la battuta sempre dietro l’angolo o l’accattivante accento romano che caratterizza la narrazione: tutti fattori che hanno permesso alla serie “Strappare lungo i bordi” di scalare a velocità impressionante le classifiche della piattaforma Netflix, sua produttrice. Il successo è stato tale da sbaragliare i tanti altri prodotti internazionali delle ultime settimane, rendendo la serie di Zerocalcare la più guardata in Italia a partire dal giorno stesso del suo rilascio: una chiusura d’anno decisamente vantaggiosa per la piattaforma streaming, con una piccola perla che non andrebbe assolutamente persa. È evidente che l’ingente fetta di utenti che conosceva già l’autore e le sue opere ha apprezzato ed amato questo suo esordio nel mondo dell’animazione; ha fatto la sua parte, però, anche chi, avendolo scoperto solo ora, ne è stato rapito fulmineamente.

La serie riprende alcune vicende già affrontate nel primo albo realizzato dal fumettista, “La profezia dell’armadillo”, che egli stesso trae da esperienze realmente vissute. Qui si cela uno dei punti di forza della serie, che ha permesso a chiunque l’abbia guardata di identificarsi in essa almeno un po’: Zero, trasposizione animata dello stesso autore, basa la narrazione sul suo modo di affrontare una serie di situazioni in cui tutti possono riconoscersi, specialmente le generazioni più giovani: un brutto voto a scuola che si trasforma in una riflessione esistenziale sul proprio peso nel mondo, la scelta impossibile di un film da vedere come sintomo di un’insoddisfazione latente nei confronti della vita o, cardine della serie, un amore adolescenziale.

Questa moltitudine di mini-drammi quotidiani gravitano attorno al filone principale ossia il motivo per cui Zero, insieme ai suoi amici Sarah e Secco, intraprende il viaggio in treno. La ragazza con cui si frequentava a diciassette anni, Alice, ha deciso di porre fine alla sua vita e i tre si stanno recando a Biella, sua città natale, per il suo funerale. Il momento in cui la vicenda si chiarisce, ovvero l’ultimo episodio, è sicuramente il più profondo della serie: Zero è dilaniato da un silenzioso dolore, perché si sente estremamente colpevole dell’accaduto ed è convinto che se fosse stato più presente nella vita di Alice sarebbe riuscito ad evitare la sua morte.

A sciogliere i dubbi del protagonista interviene Sarah che, con fare impetuoso, lo mette inevitabilmente di fronte alla realtà: nessuno è consapevole della complessità dell’altro e nessuno ha quel potere assoluto di cambiare le cose a cui Zero teme di venir meno fin da piccolo. L’amica, che per la prima volta nella serie assume una voce propria e non quella di Zero che la imita, contribuisce ad aumentare ancora di più il divario tra le tragedie che il protagonista era convinto di vivere ogni giorno e la vicenda di Alice. Quest’ultima testimonia, come detto, che ognuno è imprevedibile e assolutamente diverso da come appare. Si smonta progressivamente la convinzione del protagonista che la vita si conduca “strappando lungo i bordi”, seguendo un ordine cosmico già stabilito a cui niente potrà recare cambiamento.

La prima parte della serie, segnata dallo stile di scrittura irriverente dell’autore e decisamente comica per tutta la sua durata, non fa intuire sicuramente la possibilità di un epilogo antitetico. Nonostante ciò, è ugualmente geniale su tutti i fronti: conosciamo anche un altro aspetto della personalità di Zero, ossia la presenza costante della sua coscienza, personificata sotto forma di un armadillo che è oggetto dei continui interrogativi e delle ansie del protagonista. Pertanto, in contrasto con la sua natura riflessiva a livelli estenuanti, l’Armadillo non rivela verità, ma agisce diretto e pragmatico dando a Zero quella spintarella che spesso non è capace di darsi da solo. E, nella parte finale, lo lascia alla sua personale catarsi, nella quale deve comprendere che spesso non gli è concesso comprendere.

“Le persone so’ complesse: hanno lati che non conosci, hanno comportamenti mossi da ragioni intime e insondabili dall’esterno. Noi vediamo solo un pezzetto piccolissimo di quello che c’hanno dentro e fuori. E da soli non spostiamo quasi niente. Siamo fili d’erba, ti ricordi?”