L’ennesima vittima del racial profiling: Daisy Osakue
Daisy Osakue, discobola della Nazionale Italiana, è stata vittima di un grave episodio di razzismo che ha scosso l’opinione pubblica. La giovane ventottenne, primatista italiana nel lancio del disco con un record di 64,57 metri, ha espresso la sua completa amarezza e rabbia in un video virale condiviso su Instagram, dove ha raccontato il suo dispiacere per l’accaduto. Domenica 15 dicembre l’atleta si era recata in un Apple Store nel centro di Torino per acquistare un nuovo adattatore per il suo smartphone quando è stata fermata ingiustamente con l’accusa di tentato furto.
Il motivo del fermo? Il suo aspetto fisico e, come lei stessa ha dichiarato, il suo “essere nera”.
Nel video, che ha poi provocato un vivace dibattitto sul razzismo, l’atleta ha raccontato che, dopo avere preso l’adattatore, stava per scendere al piano terra per continuare gli acquisti in tranquillità mentre l’addetto alla sicurezza l’ha fermata senza preavviso, dicendole che avrebbe dovuto pagare i prodotti prima di andarsene. Fin da subito, Daisy era sorpresa, non riusciva a comprendere quanto stava succedendo e ha spiegato il forte senso di imbarazzo avvertito: “Mi sono sentita umiliata, a disagio, piccola piccola”, riferendosi agli sguardi di chi stava assistendo alla scena. Successivamente, ha chiesto delle spiegazioni e l’addetto ha insistito dicendo che doveva pagare al piano superiore del negozio, nonostante fosse un’area riservata al ritiro dei prodotti ordinati. La sensazione di indignazione dell’atleta cresceva per via dell’approccio di natura razzista da parte dell’addetto nei suoi confronti: è chiaro come la sua unica “colpa” fosse quella di essere una donna di colore, poiché altri clienti di carnagione chiara venivano totalmente ignorati e non erano soggetti allo stesso trattamento subito da lei.
Quella che inizialmente sembrava una semplice incomprensione si è rivelata per Daisy Osakue l’ennesima esperienza di “racial profiling”, una forma di discriminazione basata su pregiudizi razziali e ingiustizie sociali, che è purtroppo ancora radicato nella società attuale.
La giovane, infastidita da tutto ciò, ha poi deciso di esibire e mostrare il suo tesserino della Guardia di Finanza, di cui è membro (facendo parte del gruppo sportivo delle Fiamme Gialle) e ha commentato con amara ironia: “Hai beccato l’unico militare di colore e l’hai fermato perché pensavi stesse rubando”. Dopo aver visto il tesserino, l’addetto ha preferito non proseguire la discussione, ma Osakue ha comunque deciso di denunciare pubblicamente l’accaduto. Il suo obiettivo, ha chiarito, non era quello di suscitare polemiche sterili, ma semplicemente di condividere il proprio malessere dovuto ai pregiudizi razziali. A tale proposito, la denuncia effettuata non è solo una reazione emotiva, ma un appello a riconoscere quanto il racial profiling sia ancora un fenomeno profondo e comune nella società a noi contemporanea.
Il razzismo è una realtà quotidiana
Nello sfogo manifestato nel video, l’atleta ha parlato del “preconcetto che nasce dalla diffidenza nei confronti della diversità”, spiegando come il “racial profiling” sia ancora un fenomeno diffuso e che, tantissimi ragazzi e ragazze come lei, sono costretti a convivere con il razzismo. Osakue ha affermato che non si basa sui fatti, ma sui preconcetti che causano accaduti simili e che spesso si traducono in micro aggressioni e in comportamenti quotidiani come essere seguiti dalla sicurezza nei negozi o nei supermercati, solo per il colore della pelle. A differenza di come si potrebbe pensare, questo non è l’unico episodio razzista che la giovane ha subito: già nel 2018 alcuni ragazzi le lanciarono un uovo in faccia, provocandole non solo una lesione all’occhio, ma anche un danno psicologico alquanto significativo e profondo.
Perché il racial profiling è parte integrante della realtà sociale?
Quanto successo all’Apple Store di Torino e nel 2018 a Osakue, ha fatto emergere una realtà che spesso viene ignorata o minimizzata: una società che, nonostante i progressi significativi avvenuti, è ancora intrisa di pregiudizi razziali e in cui è presente un razzismo strutturale. Ciò non riguarda solo una persona o un singolo episodio, ma è parte di un’ampia e complessa questione sociale. Infatti, non sempre si manifesta attraverso atti violenti o eclatanti, ma si riflette in sguardi, semplici gesti quotidiani e diffidenza ingiustificata e bisogna riconoscere che anche in un contesto di sviluppi sociali e legislativi, il razzismo continua a esistere nelle piccole cose, avendo un impatto psicologico devastante e creando un senso di disagio nelle vittime. La verità, come ha sottolineato Osakue, è che il racial profiling esiste e non è invisibile. Se non lo riconosciamo come tale, continueremo a perpetuarlo e a giustificarlo come una pratica normale, decidendo spontaneamente di non volere vivere in una società giusta e inclusiva in qualsiasi ambito. Riflettere su quanto accaduto alla giovane atleta Daisy Osakue non significa solo indignarsi per un singolo episodio di discriminazione razziale, ma essere consapevoli di una problematica da affrontare con maggiore consapevolezza e impegno collettivo.
Siamo davvero pronti a riconoscere il razzismo nelle sue forme più subdole e quotidiane e a impegnarci per una società in cui ogni individuo sia trattato e rispettato con pari dignità, indipendentemente dal colore della pelle o dall’etnia?
Roberta De Rosa – III E scientifico
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