Il delitto di Garlasco: un caso senza risposte?
Il delitto di Garlasco, uno dei casi di cronaca nera più clamorosi e controversi degli ultimi vent’anni in Italia, continua a suscitare interesse non solo per la brutalità riscontrata nell’omicidio, ma anche per le numerose incertezze e i molteplici interrogativi che hanno caratterizzato le indagini e il processo giudiziario.
L’omicidio e le prime fasi delle indagini
La giovane ventiseienne Chiara Poggi, laureata in economia, venne trovata senza vita nella villetta presso cui abitava con la famiglia a Garlasco, in provincia di Pavia, la mattina di lunedì 13 agosto 2007. Secondo quanto emerso dalle prime indagini che furono condotte, Chiara era stata colpita a morte da un oggetto contundente mai ritrovato e, siccome aveva aperto la porta di casa spontaneamente al suo assassino, molti inquirenti ritennero che quest’ultimo fosse una persona di cui la vittima si fidava o che conosceva. A dare l’allarme e a trovare il corpo fu l’allora fidanzato Alberto Stasi, studente di economia all’Università Bocconi di Milano, che fu fin da subito identificato come il primo sospettato, nonostante le sue dichiarazioni di innocenza e l’alibi fornito. Secondo la sua deposizione, infatti, egli lavorava al computer per la redazione della tesi di laurea la mattina del delitto, ma ci furono molti errori commessi e diverse operazioni inappropriate compiute dagli inquirenti che cancellarono alcuni dati essenziali e gli accessi alla memoria di archiviazione.
Tuttavia, durante le indagini emersero diversi elementi che alimentarono i sospetti nei suoi confronti. Innanzitutto, nonostante la scena del crimine fosse caratterizzata da una notevole presenza di sangue, le scarpe di Stasi risultarono estremamente pulite, sollevando alcuni dubbi sulla sua versione dei fatti. Inoltre, furono trovate tracce di DNA sotto le unghie di Chiara che contenevano dei marcatori maschili non attribuibili con sicurezza all’imputato: per alcuni è possibile che corrisponda ad almeno due profili maschili sconosciuti.
L’arresto e il lungo iter giudiziario
Dopo due assoluzioni in primo e secondo grado, la Cassazione annullò la precedente sentenza del 2013, ordinando l’esecuzione di nuovi accertamenti e indagini, tra cui l’accurata analisi del materiale genetico. Nonostante i test non abbiano fornito dei risultati tangibili e decisivi, nel 2014 Stasi fu condannato a 24 anni di reclusione, successivamente ridotti a 16 anni con rito abbreviato. La condanna divenne definitiva nel 2015, senza un vero movente, ma attribuendo l’efferato delitto a un probabile effetto d’ira. Le richieste di revisione del processo, l’ultima presentata il 7 febbraio 2025, sono state tutte respinte poiché giudicate come “irricevibili” dalla Corte europea dei diritti dell’uomo.
Le nuove svolte e i dubbi persistenti: si tratta di un errore giudiziario?
Nonostante la dura condanna di Stasi, il caso non è mai stato considerato definitivamente chiuso: grazie alle nuove perizie e tecnologie in ambito scientifico, si è riaperto il dibattito sulle modalità dell’omicidio e sul possibile errore commesso nello svolgimento delle indagini iniziali e durante la raccolta delle prove, suggerendo che il materiale genetico ritrovato sarebbe stato analizzato in modo inadeguato. In particolare, l’attenzione si è concentrata su alcune impronte digitali, che ora potrebbero essere attribuite a nuovi sospettati, e su Andrea Sempio, amico del fratello di Chiara, il cui DNA è stato confrontato con le tracce trovate sulla scena del crimine. Tuttavia, quanto accaduto non ha portato a una revisione della condanna di Stasi, ritenuto da molti innocente e vittima di uno dei più gravi errori giudiziari italiani, e il mistero del delitto di Garlasco resta irrisolto, con l’unica certezza che Chiara Poggi non potrà mai avere giustizia se la verità non emergerà e se non verrà finalmente eseguito un accurato lavoro di revisione.
Roberta De Rosa – III E scientifico
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