L’arcipelago delle Maldive, bagnato dall’Oceano Indiano, è un paradiso incantevole, regno di barriere coralline, acque limpide, natura incontaminata…

Forse prima, ora non più. E forse solo in parte.

Molto vicino al paradiso c’è l’ inferno. Si chiama Thilafushi, l’isola dell’immondizia cresciuta dentro un eden tropicale, ” la faccia sporca” delle Maldive.

Thilafushi è un atollo- discarica a cielo aperto per volere del governo locale dal 1992, per affrontare il crescente problema dello smaltimento dei rifiuti prodotti dalla” civiltà” in vacanza.

E’ una lingua di terra sottile immersa nell’ oceano cristallino per 7 chilometri ( e solo 7 ne dista dalla capitale Malè) e ogni giorno riceve via mare oltre 300 tonnellate di rifiuti, scarti dell’industria del turismo. Brucia 24 ore su 24, 7 giorni su 7, creando una colonna di fumo tossico…

Una bomba che rischia di esplodere.

Triste realtà di un ecosistema in bilico.

Thilafushi fa i conti non solo con l’aumento esponenziale dei metri cubi di immondizia ma anche con il cambiamento climatico, il conseguente innalzamento del livello del mare (altra vera minaccia delle Maldive) e inquinamento di tutto l’ecosistema.

Thilafushi è anche “l’oasi” dell’industrializzazione maldiviana.

Ha un  cementificio, dei cantieri navali e una serie di piccole officine.

L’aria è densa di diossina. E per terra non c’è la fine sabbia delle Maldive ma una fanghiglia di acqua, cemento e terra intrisa di pezzi di cartone, di plastica, di ferro.

E in questo scenario apocalittico vivono e lavorano gli operai, 150 uomini tutti venuti dal Bangladesh, costretti in capannoni di amianto e ruggine a differenziare i rifiuti, a smistarli e trasportarli respirando l ‘odore acre dell’immondizia data alle fiamme o in decomposizione.

A Thilafushi ancor prima di un disastro ecologico si sta dunque consumando un disastro umano.

E tutto nell’ indifferenza generale, triste costume della società moderna.

Forse perché la drammatica realtà dell’isola dell’immondizia è solo una delle tante, forse nemmeno la peggiore, di un mondo sempre più alla deriva.


Triste consolazione o amara constatazione?