Lisa Montgomery è stata la prima donna giustiziata dopo settant’anni, con un’iniezione letale. È accaduto nell’Indiana ed è l’undicesima esecuzione da luglio, quando l’ex presidente Donald Trump ha ripristinato la pena di morte nello stato.

Ma è “giustiziare” la parola giusta? La giustizia è tutt’altro. La donna in questione è stata uccisa da uno Stato che avrebbe dovuto guidarla verso un recupero, curarla, non ucciderla. Lisa all’età di tre anni veniva fatta giacere a letto accanto alla sorella di otto anni, che veniva violentata dal babysitter, a undici anni iniziò ad essere stuprata lei, dal patrigno che picchiava lei e sua madre. Una volta quell’uomo le fece sbattere la testa sul pavimento così forte da causarle una lesione celebrale. Veniva fatta prostituire dalla madre con l’elettricista e con l’idraulico per pagare i lavori che effettuavano in casa, mentre il patrigno e i suoi amici abusavano di lei e alla fine delle violenze le urinavano addosso. Il suo delitto, sicuramente atroce, è stato di aver strangolato una donna incinta, di averle tagliato la pancia per strapparle la figlia, rapendola e fingendo di averla partorita lei. Un crimine terribile, ma Lisa non era la persona peggiore delle peggiori.

Ma è giusto chiedersi: se fosse stata la persona peggiore, sarebbe stato giusto ucciderla? Esiste un reato per cui è giusto uccidere il carnefice? Da un’esecuzione capitale non si può tornare indietro. Per molte persone è giusto uccidere chi commette un reato molto grave per scoraggiare la criminalitàma secondo me la pena di morte è un massacro che prende il nome di giustizia e rispondere a un crimine con un altro crimine non ha mai reso un paese sicuro. Nella mente di una persona già predisposta alla violenza, la pena di morte non funge da ammonimento; essa non cura, non risarcisce gli oltraggi subiti dalle vittime. Nessuno ha il diritto di mettere fine alla vita di un qualsiasi altro essere umano. Se si risponde alla violenza con altra violenza, qual è l’esempio che si vuol dare?

I cittadini statunitensi pagano le tasse anche per le spese necessarie alle esecuzioni. Quindi, utilizzarle non è un bene collettivo ma un grande spreco, una pressione collettiva per mettere in campo l’agonia. Un poeta francese, Rémy de Gourmont, diceva: “È abbastanza evidente che coloro che sostengono la pena di morte, hanno più affinità con gli assassini di coloro che la combattono”. Invece di infliggere tali pene sarebbe opportuno individuare dei metodi rieducativi alternativi che non privino il colpevole della possibilità di prendere atto dei propri errori.