Maurizio Cerrato: un altro nome da scolpire nella mente, per noi torresi, un altro schiaffo da subire, un’altra vittima da commemorare. È stato ucciso la sera del 19 aprile a Torre Annunziata. Sua figlia si era “permessa” di spostare una sedia per parcheggiare. Da qui, la decisione di qualcuno di punire quello sgarro: una gomma squarciata, la richiesta a suo padre di intervenire, e poi la tragedia. Quando la situazione sembrava essere calma, cinque persone hanno aggredito Maurizio, intento a cambiare la ruota, colpendolo alla testa con un crick ed accoltellandolo al petto. La corsa disperata verso l’ospedale San Leonardo di Castellammare non è riuscita a salvare la vita dell’uomo, morto durante il tragitto. Ecco come una banale situazione quotidiana può sfociare in tragedia. Maurizio Cerrato oggi è Andrea, Vincenzo, Antonio, Salvatore, è un padre, uno zio, un figlio, un fratello, un marito.

È agghiacciante pensare che quello sarebbe stato il suo ultimo lunedì e che, da quella sera, avrebbe lasciato un vuoto incolmabile nelle esistenze delle persone che lo amavano. È morto per aver difeso sua figlia e questo gli fa onore. Maurizio è vittima di una mentalità ignorante e prepotente che persiste ancora oggi nella nostra zona: fa vivere ognuno di noi con il terrore di alzare la testa e dire “NO”. È importante ricordare e commemorare, ma non è abbastanza. Quella sedia spostata deve diventare il simbolo della ribellione: noi giovani possiamo rompere i vecchi schemi. Non  promettere, ma agire; non avere paura, ma ribellarsi. Il numero delle vittime innocenti aumenta e questa cosa Torre Annunziata non può e non deve permettersela più. Il silenzio delle persone, la paura di schierarsi, giustifica il sopruso e rafforza i sistemi malati. Non solo chi muore è vittima di questa mentalità criminale;  vittima è chi rimane con il proprio dolore, vittime siamo tutti noi ogni volta che non troviamo il coraggio per combattere.

Irene Verniti 1Aclassico