Negli ultimi anni, la tematica circa l’utilità o l’inutilità del liceo classico ha preso sempre più piede. Cultura umanistica e cultura scientifica vengono spesso polarizzate e murate, e non  si vede tra di esse un collegamento. Discordanti sono infatti le opinioni che, generalmente, non presentano un punto di accordo: restano soltanto brevi e pungenti affermazioni.
E’ proprio con un’affermazione breve e concisa che, nel 2014, in occasione del processo al liceo classico con l’economista Andrea Ichino e lo scrittore Umberto Eco rispettivamente per l’accusa e la difesa, si è conclusa la “seduta”. Esito: il liceo classico assolto perché “il fatto non sussiste”. Un processo simbolico, chiaro esempio della diversità di opinioni.
Umberto Eco ha più volte sottolineato il valore della formazione umanistica, proponendo l’abolizione del liceo scientifico a favore di un’unica istituzione umanistica e scientifica, dove l’insegnamento non fosse circoscritto. Una scuola in cui l’insegnamento delle lingue antiche fosse rivisitato, aggiungendo il dialogo in lingua, dove le lingue straniere e la storia dell’arte avessero un reale valore.
L’economista Ichino, da parte sua, ha però più volte posto l’attenzione sulla situazione italiana a confronto con il resto dell’Europa e del mondo. Numeri alla mano, ha sottolineato che le competenze matematiche sono scarse per circa il 70% della popolazione italiana contro il 52% medio delle altre nazioni. Anche nei test di medicina, nonostante il liceo classico vanti studenti con punteggi agli esami di stato leggermente più alti, ha avuto risultati meno felici nei test di chimica e biologia. E ancora Ichino ha sottolineato l’importanza di lingue straniere non convenzionali come l’arabo ed il cinese che, nella società cosmopolita che sta andando a delinearsi, stanno iniziando a coprire anche la sfera di influenza dell’inglese.
E’ qui che lo scrittore ha riassunto il punto della questione andando a sottolineare la proposta di una scuola che non si limiti né alla cultura scientifica, né a quella umanistica: una scuola dove l’equilibrio sia il fulcro della leva, dove magari si possa scegliere le materie da seguire come in altre scuole europee ma dove si possa anche insegnare il valore della storia, della filosofia, considerate anch’esse come “morte”.
Sulla stessa linea di pensiero di Umberto Eco ritroviamo Stefano Bartezzaghi, giornalista de “La Repubblica”. Ha infatti commentato una lettera che un lettore, Giuseppe Chiassarini, ha inviato al giornale. Chiassarini ha evidenziato la sua tristezza nel sentire che il figlio era dispiaciuto di non aver potuto svolgere le ore di latino previste per una giornata di scuola. Tutto ruotava attorno al concetto di utilità, concetto chiarito dallo stesso Bartezzaghi: tralasciando la questione dell’utilità o meno del latino, il problema è proprio la visione della materie scolastiche come puri strumenti utilitaristici. “La scuola è a-utile”, afferma, infatti, Bartezzaghi e, nel momento in cui nessuna scuola più insegnerà il latino, solo allora quest’ultima si potrà definire lingua “morta”.
La questione viene invece portata più sul piano etico-morale dallo storico della scienza Giorgio Israel, che vede nella riqualificazione della scuola la soluzione di soltanto una parte del problema. Il tutto deve essere infatti accompagnato dalla cultura, necessaria alla formazione del buon cittadino. Poiché nel liceo classico si ha il più ampio scambio di cultura e di nozioni in senso lato, con la morte del liceo classico morirebbe la società stessa.
Non c’è dunque un reale vincitore nella questione. Cultura umanistica e cultura scientifica non sono altro che due facce della stessa medaglia e, in quanto tali, non possono che collaborare. Riprendendo Umberto Eco: “Bisogna ripensare un equilibrio”.

Giuseppe Pinto IV A classico

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