L’Italia a cui siamo abituati a pensare è un Paese pacifico, ormai libero da ogni sorta di guerre e conflitti, sia interni che esterni. In effetti c’è proprio un articolo della costituzione italiana (l’articolo 11) che manifesta il ripudio dell’Italia per la guerra come “strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”. Ma è proprio così? La risposta è no. Sono 7340 i soldati italiani che, sparsi per il mondo, partecipano ad operazioni di ogni tipo, anche e soprattutto di guerra. L’Italia infatti, come esplicita lo stesso articolo 11, consente alla limitazione della propria sovranità, se ciò assicura la pace e la giustizia fra le Nazioni. Le operazioni a cui l’Italia partecipa sono pianificate da organizzazioni come l’ONU che operano proprio al fine del “pacekeeping”, cioè del mantenimento della pace. L’Italia, ad oggi, è coinvolta in 34 missioni in 25 Paesi. Il maggior dispiegamento di truppe si ha in Asia (il 46%) e, in particolare, nel Medio Oriente. Seguono poi l’Europa (34%) e l’Africa (20%), mentre il continente con più missioni operative è quello africano.

È giusto impiegare tali forze per queste organizzazioni? Dipende. Tante di queste operazioni sono infatti svolte effettivamente senza l’impiego di armi e hanno cercato di aiutare popolazioni in difficoltà. Una di queste è l’Operazione Mare Sicuro, avviata il 12 marzo 2015 a seguito dell’evolversi della crisi libica. Essa prevede il dispiegamento di forze su 6 navi nella striscia di mare che collega l’Africa settentrionale alla Sicilia, al fine di controllare e tenere a bada il fenomeno dell’immigrazione clandestina, cercando di contrastare il traffico illegale di esseri umani. Operazioni del genere non fanno altro che bene all’Italia e agli altri Paesi, concentrando forze e mezzi per contrastare la criminalità che impera sia nel nostro Paese che all’estero. Il discorso risulta, invece, essere diverso quando si parla delle operazioni che ci sono state in Somalia e quella invece ancora attiva in Afghanistan. Quella contro i talebani in Afghanistan è una vera e propria guerra, che ha visto uccidere migliaia di persone; è questa la verità che si vuole nascondere alla popolazione comune. Alcuni parlano di 700 tra feriti e mutilati soltanto nel contingente italiano. E a gennaio di questo stesso anno un’operazione ha visto morire 60 civili innocenti, oltre a un capo talebano, vero obiettivo dei missili lanciati nell’area abitata di Shindand.

L’operazione rientra nelle iniziative della missione “Sostegno Risoluto che va avanti da cinque anni e con cui la coalizione Nato sostiene di “contribuire ad addestramento, assistenza e consulenza delle Istituzioni e delle Forze di Sicurezza afghane, al fine di facilitare le condizioni per la creazione di uno stato di diritto, Istituzioni credibili e trasparenti e, soprattutto, di Forze di Sicurezza autonome e ben equipaggiate, in grado di assumersi autonomamente il compito di garantire la sicurezza del Paese e dei propri cittadini. A differenza della missione ISAF (cioè quella precedente in Afghanistan), i militari non sono coinvolti in azioni di combattimento.”

Belle parole, obiettivi audaci, un intento onorevole. Peccato che, come abbiamo visto, parliamo di chiacchiere. E questo non è un caso isolato. Abbiamo bombardato la Serbia e il Kosovo, sganciato bombe in Libia, combattuto in Iraq; il tutto in un arco temporale che va dalla fine della seconda guerra mondiale ai giorni nostri. Ha senso allora parlare di “missioni di pace”, di rispetto dell’articolo 11 della costituzione italiana? È questo un dibattito molto acceso, che vede opinioni contrapposte. C’è chi effettivamente pensa che la pace mondiale debba comportare dei sacrifici, dei genocidi, chi, invece, ritiene disumano agire compiendo del male per arrivare al bene. A questo punto la domanda diventa un’altra: “Il fine giustifica i mezzi?”. Machiavelli avrebbe senz’altro approvato. Rifletto sul fatto che forse anche Hitler la pensava allo stesso modo: Machiavelli parlava dell’abolizione della moralità per lo Stato e Hitler per il suo stato di “ariani” giunse addirittura a eliminare gli ebrei nelle camere  gas. Certo, sono esempi estremi; ma per me in guerra non ha senso parlare di bene, né individuale né dello Stato. Ce lo hanno dimostrato ben due guerre mondiali, una dopo l’altra. Ecco allora che la storia può veramente insegnare qualcosa. Peccato che l’uomo abbia breve memoria.

 

Fonti: https://espresso.repubblica.it/internazionale/2013/07/05/news/non-diciamo-missioni-di-pace-1.56241; https://www.ana.it/category/filo-diretto-con-lafghanistan/