“Historia magistra vitae”: per imparare dal passato
Shoah, Olocausto, sterminio degli ebrei, Auschwitz. Bastano queste parole per evocare immagini di sofferenza, morte e violenza inaudita che sono indelebili e impresse nella memoria collettiva. La Shoah, termine di origine ebraica che significa “catastrofe,” si riferisce al genocidio sistematico e su scala mondiale degli ebrei attuato dal regime nazista durante la Seconda Guerra Mondiale. Questa tragedia non è stata il risultato di un’azione improvvisa o casuale, ma di molteplici eventi concatenati e pianificati che hanno portato alla creazione di una perfetta macchina di morte che ha ucciso milioni e milioni di innocenti.
Cosa ha dato vita a questa follia omicida he ha portato allo sterminio degli ebrei?
La causa principale è sicuramente l’odio e i tanti pregiudizi presenti verso gli ebrei, cioè il cosiddetto antisemitismo. Le origini di quest’ultimo sono molto profonde a livello storico, sebbene sia stato giustificato nel XIX e XX secolo mediante il razzismo biologico e la pseudoscienza.
A partire dal periodo delle rivoluzioni borghesi, gli ebrei cominciarono a essere visti come una grave minaccia per i grandi industriali e i proprietari terrieri che, per via della crisi, avevano già ipotecato i loro beni e si erano indebitati con le banche. Analogamente, in Germania (allora detta repubblica di Weimar) l’odio verso gli ebrei si mescolò alla crescente paura del cambiamento sociale ed economico e alle teorie complottistiche, elaborate dal nazionalsocialismo, secondo cui erano la principale causa di tutti i problemi morali ed economici e, addirittura, fautori del bolscevismo. L’anno chiave dell’affermazione totale dell’antisemitismo fu il 1933, in cui si verificò l’ascesa al potere di Adolf Hitler (Führer del partito) che nel suo libro Mein Kampf (La mia battaglia), scritto dopo il fallimento del Putsch di Monaco (colpo di stato), espose chiaramente la sua idea sui giudei: la loro era una “razza” inferiore, che rischiava di contaminare la “purezza” della razza ariana, che era nettamente superiore. Inoltre, erano una minaccia alla grandezza futura della Germania e nemici del Terzo Reich.
Così, instaurato un clima di rabbia e frustrazione, gli ebrei vennero accusati di essere i responsabili di tutte le tragedie che avevano colpito la Germania: dalla sconfitta della Prima Guerra Mondiale alla crisi economica del 1929, che aveva causato un vertiginoso aumento dei disoccupati. Oltre ai fattori ideologici e storici, è essenziale considerare anche la paura di una società che, pur non essendo apparentemente coinvolta, ha accettato passivamente e ha permesso la persecuzione feroce degli ebrei. Infatti chi sapeva non parlava e chi non sapeva non poneva domande.
La Shoah è la chiara manifestazione di quello che accade quando l’odio, il razzismo e l’ignoranza prendono il sopravvento. Anzi, come sottolineato dalla filosofa tedesca Hannah Arendt e dal suo concetto di “banalità del male”, il male può diffondersi quando una società smette di pensare criticamente e si lascia guidare dalla paura, dall’obbedienza cieca e dal conformismo. A differenza di come si possa pensare, il male più grande non è sempre compiuto da un’unica persona, ma da più individui che, non interrogandosi sulle proprie azioni, diventano partecipi del crimine.
Fu, infatti, l’assenza di una resistenza concreta da parte della società civile a rendere possibile il piano genocida di Hitler e a permettere l’applicazione delle Leggi di Norimberga nel 1935,che legalizzarono a tutti gli effetti la discriminazione degli ebrei e li privarono di diritti fondamentali come l’accesso agli impieghi pubblici. Ciò fu solo un piccolissimo tassello di quella che poi sarebbe stata la realizzazione del disegno folle programmato dallo stesso Hitler. La violenza esplose in modo evidente nel novembre del 1938 con la Kristallnacht (la Notte dei Cristalli), in cui sinagoghe, negozi e case ebraiche furono completamente distrutte e molti ebrei furono uccisi senza alcuna motivazione.
Dopo l’invasione della Polonia nel 1939, furono istituiti i ghetti (cioè luoghi di segregazione) e, con l’inizio della Seconda Guerra Mondiale, i nazisti cominciarono il vero piano di annientamento degli ebrei e di tutte le minoranze etniche e religione (omosessuali, Rom, disabili…) con la costruzione dei campi di concentramento e di sterminio, come Auschwitz, Treblinka, Sobibor e altri, dove milioni di ebrei vennero uccisi con esecuzioni barbare o con l’uso del gas Zyklon B. In realtà, le modalità con cui veniva realizzata la sterminazione di massa erano crudeli e meticolosamente organizzate: dopo vari rastrellamenti o denunce, gli ebrei salivano sui cosiddetti “treni della morte”, trasportati in condizioni disumane, senza cibo, acqua o luce, per giorni e giorni.
Chi giungeva al campo di Auschwitz, era accolto dalla famosa iscrizione“Arbeit Macht Frei” (“Il lavoro rende liberi”) che era una semplice e macabra illusione visto che, varcata quella soglia, non sarebbero stati mai più liberi e, nel peggiore dei casi, non avrebbero fatto più ritorno a casa. Una volta entrati qui, ogni aspetto della loro vita veniva annientato, a partire dal loro nome che diveniva un numero, all’essere trattati come oggetti sfruttare per lavori forzati o esperimenti scientifici (soprattutto nel caso dei bambini e dei gemelli con Josef Mengele) e poi eliminare. Non si trattava più, quindi, di persone con un proprio vissuto, ma semplicemente di numeri tatuati sulla pelle, che era ormai il loro unico “valore” in un sistema che li considerava solo come unità produttive destinate ad essere consumate il più possibile. Veniva totalmente annientata la dignità umana e l’essere umano in quanto tale: come riportato da alcuni sopravvissuti, tra cui Liliana Segre, Sami Modiano o Primo Levi nel suo celebre libro Se questo è un uomo, i prigionieri nei Lager (definiti da Levi come buchi neri) non solo erano privati da affetti personali e pativano la fame,la sete e il gelido freddo ma centrale era la distruzione della loro psiche, che comportava la perdita di ogni certezza e di quei valori essenziali come la bontà, la gratitudine o l’altruismo.
La memoria come monito
Il 27 gennaio 1945, l’Armata Rossa liberò Auschwitz, svelando al mondo l’entità di quelle atrocità che non devono mai essere dimenticate. È proprio l’indifferenza a dare inizio agli orrori di ieri e di oggi: quando si finge di non vedere, quando ci si volta dall’altra parte e quando si crede che esprimere un’opinione o opporsi ad un qualcosa che non ci riguardi sia inutile, ci rende non solo colpevoli, ma anche complici. Tale atteggiamento rappresenta una terra fertile in cui l’odio può germogliare, radicarsi e diffondersi per poi avere delle conseguenze disastrose. Come riportato dallo stesso Levi, non bisogna dimenticare quanto accaduto. Anzi è proprio la memoria l’unico espediente per comprendere una pagina così buia della nostra storia ed è necessario mantenerla viva non solo per commemorare coloro che furono vittime di questo orrore, ma anche come un antidoto contro ogni forma di razzismo e discriminazione che potrebbe tornare a diffondersi. Come afferma Cicerone
“Historia magistra vitae”
(“La storia è maestra di vita”), poiché abbiamo l’obbligo di studiare, approfondire e imparare dagli errori compiuti nel passato per essere consapevoli e per non ripeterli mai più. Non possiamo permettere che si verifichino nuovamente simili atrocità: la Shoah deve essere il nostro faro in un mondo dilaniato da guerre, discordie e sofferenza affinché non prevalga mai più la violenza e l’odio.
Roberta De Rosa – III E scientifico
Credits – https://encyclopedia.ushmm.org/content/it/article/victims-of-the-nazi-era-nazi-racial-ideology
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