Dopo la quarantena di marzo pensavamo di aver già visto e vissuto tutto il possibile e dopo un’estate che sapeva un po’ di normalità ci aspettavamo che lentamente ci sarebbero state restituite le nostre vite, ma è stato proprio allora che la mia quotidianità è stata stravolta per davvero. Mia madre è risultata positiva al covid agli inizi di ottobre dopo che l’ospedale in cui lavora è diventato un focolaio improvvisamente. Questa notizia è stata così inaspettata che fino a poco tempo fa quasi mi sembrava un incubo dal quale avevo difficoltà a svegliarmi. È da nove mesi ormai che conviviamo con questo virus, ma stranamente per quanto ci siamo tutti dentro allo stesso modo ci sembra sempre molto lontano, come se non potesse mai capitare a noi. Ed è proprio questa l’arma vincente del covid, ti coglie alla sprovvista quando per un breve momento avevi deciso di tirare un sospiro di sollievo dimenticandoti di tenere la mascherina alzata. Allora mi sono accorta che casa, che era sempre stata il mio porto sicuro, non lo era più, che questo virus oltre ad avermi privata della mia quotidianità era arrivato a togliermi la sicurezza del mio nido, l’abbraccio di mia madre. Dopo aver vissuto quest’esperienza mi sono accorta di quanta differenza ci sia tra la quarantena e l’isolamento. Isolamento è sentire la propria casa come un posto che non ti appartiene più, la propria stanza come una gabbia, sentire che il tempo si è fermato ma che fuori tutto continua a girare e sei solo tu a restare fermo. Ciò che forse quest’esperienza mi ha lasciato di più è la ferita dell’abbandono, quella sensazione di indifferenza da parte di tutto ciò che ti circonda, sentirti solo tra le mura di casa e solo nella tua situazione. Non ricevere alcuna notizia dall’esterno, nessuna risposta alle richieste di aiuto, molti si preoccupano solo di sapere l’esito del tuo tampone e dopo aver comunicato la risposta, nessuno si interessa più, istituzioni, conoscenti. È stato proprio nel momento in cui ho preso consapevolezza di ciò, che mi è stato chiaro che quando questa pandemia sarà passata quello che alla società rimarrà è solo tanto egoismo. Durante l’isolamento ti accorgi veramente del valore di ogni giorno, di ogni singola persona che fa parte della tua vita, ti rendi conto che per quanto diversa dalla nostra normalità di sempre, questa nuova quotidianità degli ultimi mesi poi non era così male. Ho sentito quel sentimento di esilio, il vuoto dentro di me, il desiderio irragionevole di tornare indietro o di affrettare la corsa del tempo, i morsi della memoria, in quei giorni di isolamento mi sono sentita prigioniera non solo della mia stanza, ma soprattutto del passato. Dopo che per la prima volta venne rimandata la data del termine dell’isolamento decisi di non pensarci più a quando sarei stata liberata, decisi di non rivolgermi più verso il futuro. Insofferente al presente, nemica del passato e priva di futuro, ero come quelli che l’odio umano fa vivere dietro le sbarre. Forse le ore più difficili erano quelle della sera, dei ripensamenti, ed erano difficili proprio perchè per chi è solo non c’è che il vuoto a cui pensare. Sentivo di stare scontando la pena per un reato mai commesso, ma in questa situazione tutte le persone che soffrono, perdono la vita, i familiari di coloro che ci lasciano, tutte le persone divise da questo virus che colpe hanno? Ho bisogno che il mondo mi dimostri che ho torto, che da questa pandemia usciremo tutti più uniti, con la consapevolezza che gli uomini non possono fare a meno degli uomini. Il covid vissuto da così vicino mi ha insegnato il valore del tempo, la vita può cambiare da un momento all’altro ed è per questo che bisogna dare valore all’oggi, investire sull’istante senza pensare al futuro. Mi ha dimostrato che nonostante tutto il resto e tutti gli altri mi stavano lasciando in balia del mio problema, determinando il mio vero isolamento, c’erano persone che anche se fuori dalle mura di casa, erano lì dentro con me senza lasciarmi sola, mettendo da parte il proprio dolore, la mancanza fisica, tutti gli impedimenti pur di regalarmi qualche minuto di normalità, facendomi sentire il calore del loro corpo anche solo con gli occhi, la voce. Allora ho capito che quella che mi è stata data è un’occasione per rendermi conto di quanto in realtà io abbia sempre avuto tutto ciò di cui avevo realmente bisogno, che non è altro che braccia da stringere e ventiquattro ore da vivere.