Napoli, vite spezzate: quando la violenza diventa una tragedia quotidiana
Napoli è una città che di giorno appare affollata di turisti, di sguardi curiosi e di voci che si mescolano tra loro, con il sole che illumina i suoi stupendi vicoli. Tuttavia, appena cala la notte, il suo volto cambia. Dietro la quiete apparente, si nasconde una realtà violenta, che in meno di venti giorni ha provocato molteplici vittime. Emanuele Tufano, Santo Romano, Arcangelo Correra, sono solo gli ultimi nomi che si aggiungono a una lista lunga, impossibile da ignorare, testimoniando una tragedia che si ripete costantemente. Una violenza che è inarrestabile e che sembra non avere età. Le vite di questi giovani strappate prematuramente in circostanze drammatiche sono lo specchio di un fenomeno ben più profondo: una generazione che cresce in contesti difficili, con poche alternative e un futuro che sembra sempre più incerto. Una gioventù che spesso vede nella criminalità organizzata, nella “paranza”, una via d’uscita o un destino inevitabile.
Il primo dei tre omicidi si è verificato nella notte tra il 23 e il 24 ottobre, quando Emanuele Tufano, quindicenne del rione Sanità, è stato ucciso con un colpo di pistola alla schiena, forse mentre cercava di fuggire. La causa della sua morte è un conflitto tra bande, una “guerra tra paranze” che, ancora una volta, ha stroncato la vita di un adolescente. La dinamica dell’omicidio ha portato alla luce un dato allarmante: a Napoli, procurarsi una pistola è ormai facile e alla portata di qualsiasi giovanissimo. Ciò testimonia l’incalcolabile disponibilità di armi sul territorio, utilizzate da molti ragazzi per risolvere dei conflitti banali con il sangue.
Pochi giorni dopo, si è consumata l’ennesima tragedia. Durante la notte tra il 1 e il 2 novembre, a San Sebastiano al Vesuvio, è stato ucciso Santo Romano, un ragazzo di appena 19 anni e un abile calciatore che aveva già mostrato la sua passione per la vita e per quei sogni che non potrà più raggiungere. La morte è stata provocata da un proiettile al petto al culmine di una lite scaturita da una semplice scarpa calpestata. Ancora una volta, una vittima innocente della stessa motivazione e dinamica futile che solo un anno fa, a Mergellina, aveva causato lo scoppio di una rissa terminata con la morte di Francesco Pio Maimone, un ragazzo di soli 18 anni, completamente estraneo a qualsiasi contesto criminale, che si trovava nel posto sbagliato al momento sbagliato. Di recente, ancora spari e paura: Arcangelo Correra è il nome di un altro diciottenne colpito da un’aggressività insensata che sta segnando Napoli. La tragedia è avvenuta alle prime luci dell’alba del 6 novembre in una piazza adiacente a via dei Tribunali, una delle zone più turistiche della città. Arcangelo, che stava trascorrendo una serata con alcuni suoi amici, è stato colpito gravemente da un colpo di pistola partito accidentalmente dall’arma che maneggiava il cugino e, purtroppo nonostante sia stato trasportato d’urgenza in ospedale, è deceduto intorno alle ore 11 dello stesso giorno.
Cosa accomuna queste tragedie?
Non si tratta solo della giovane età delle vittime, ma anche della dinamica e della motivazione che le provoca che sembra divenire quasi una routine: la disponibilità di armi. Il loro uso è ormai normalizzato e un qualcosa di quotidiano, essendo considerate l’unica vera soluzione di un conflitto, che potrebbe essere risolto con un semplice dialogo. Basta un litigio, un’offesa verso il proprio ego, una scarpa calpestata, e si arriva a un colpo di pistola che cancella in un attimo il futuro di un giovane, come se la vita umana fosse un semplice gioco. Dietro ogni pistola ci sono le fragilità di una città che risulta impotente di fronte all’assenza di opportunità concrete per i ragazzi, in cui però è emersa in modo visibile una richiesta di cambiamento radicale forse mossa dal dolore e dalla rabbia che ha scosso le coscienze. Ne è un esempio la manifestazione che ha avuto luogo sabato 9 novembre a Napoli in Piazza del Gesù, dove hanno partecipato migliaia di persone e tante associazioni. “Basta con la violenza”, “Non siamo numeri”, “I nostri sogni sono più forti” sono alcune delle frasi pronunciate non solo da chi ha perso un figlio, ma anche da chi, come tanti noi giovani, è stanco di vivere nella paura e si rivolge dunque alle istituzioni affinché si intervenga con politiche sociali efficaci. Durante questa riflessione collettiva, si è giunti ad un’importante consapevolezza: l’indifferenza non è un’opzione e una soluzione.
La lotta per un futuro senza paura
Dopo queste tragiche vicende, è fondamentale porsi queste domande: Riusciremo a tradurre tutto questo dolore che ci ha scosso in un cambiamento reale? Riusciremo a costruire una città dove i ragazzi possano finalmente crescere liberi dalla paura e con la possibilità di scegliere un futuro diverso?
Sicuramente, la violenza inaudita e inspiegabile che ha colpito nelle ultime settimane Emanuele, Santo, Arcangelo, e tanti altri, come Maimone e il musicista Giogiò, non deve essere solo un episodio isolato e archiviato. Al contrario, ciò deve essere una vera e propria occasione e un punto di partenza per avviare un cambiamento profondo e radicale. Non possiamo permettere che la morte di questi ragazzi diventi l’ennesima tragedia dimenticata e l’ennesimo capitolo di una storia che si ripete senza mai giungere a una fine. Non possiamo più ignorare l’infinita sofferenza di chi ha perso un figlio in modo violento e far finta di vivere in una realtà in cui la vita dei giovani sembra non avere più valore e in cui il rumore degli spari è più forte delle voci che chiedono un futuro diverso. Napoli non deve più abbandonare dei ragazzi in balia di un futuro incerto, fatto di codici e linguaggi aggressivi che sembrano essere le uniche opzioni, perché ogni volta che una pistola è estratta e la rabbia prende il sopravvento, la società perde. È tempo di reagire, di restituire ai giovani la speranza di una vita migliore, fatta di opportunità reali e non di illusioni, di costruire una città dove il dialogo, la comprensione e la solidarietà siano gli strumenti per risolvere le difficoltà, dove sia presente la certezza che la violenza non sarà mai una giusta risposta perché ogni vita spezzata è una ferita profonda che non si rimargina mai.
Roberta De Rosa – III E scientifico
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