Il 26 maggio 2025, Martina Carbonaro, una ragazza di soli 14 anni di Afragola, un comune in provincia di Napoli, è scomparsa nel tardo pomeriggio, dopo essere uscita di casa per incontrare il suo ex fidanzato di 19 anni, Alessio Tucci. Martina, però, non è più tornata a casa: il suo corpo privo di vita è stato ritrovato dalle forze dell’ordine il giorno successivo nei pressi di un fatiscente e abbandonato edificio all’interno del complesso dell’ex stadio Moccia, un tempo residenza del custode. Lì, tra i detriti e il silenzio, si è conclusa la vita di una giovanissima adolescente, lì Alessio Tucci, come ha poi confessato agli inquirenti, l’ha portata per discutere, lì l’ha colpita con violenza, lì ha deciso di condannare a morte Martina per aver detto “no”, per aver scelto la propria libertà. Un semplice rifiuto che è stato sufficiente ad impedirle di vivere in modo spensierato l’intera adolescenza e che l’ha per sempre resa una delle tante ragazze vittime di femminicidio in Italia nel 2025.

Una dinamica familiare, un copione che si ripete

La dinamica è, purtroppo, tragicamente analoga ad altri casi di femminicidio verificatosi: l’ennesimo atto violento e feroce di un ragazzo giudicato e ritenuto da tutti come “normale”, descritto come tranquillo, educato, persino brillante, ma che non riesce ad accettare la fine di una relazione per via della radicata idea di possesso, che ormai cresce silenziosa a dismisura nelle pieghe della nostra società e che, quando si manifesta, si consuma con inaudita ferocia e brutalità. Lo stesso copione, la stessa tragedia. Cambia il nome, l’età, la città, ma il finale resta invariato: Martina Carbonaro, così come tante altre donne, voleva semplicemente essere sé stessa, vivere liberamente e con leggerezza la propria adolescenza, poter decidere autonomamente cosa fosse giusto per il suo futuro. Nessuna provocazione, nessuna colpa: solo il legittimo desiderio e diritto di scegliere, di amare o non amare. Tuttavia, per Alessio, il suo ex fidanzato, tale libertà era una mera minaccia al proprio controllo, divenendo così intollerabile. Non ha accettato il distacco, non ha sopportato l’idea di non possederla più e in tale modo ha stroncato per sempre una giovane vita. Forse la parte più agghiacciante della vicenda è la sua “recita” per depistare gli inquirenti e i genitori della vittima: ha finto di essere preoccupato, si è unito alle ricerche, ha partecipato attivamente alle operazioni di soccorso, ha indossato con disinvoltura la maschera del fidanzato disperato, nel tentativo di nascondere l’orrore che lui stesso aveva compiuto senza esitare.

Un monito per tutti noi

L’intera comunità di Afragola con fiaccolate, cortei, fiori si è unita al dolore provato inevitabilmente dalla famiglia della ragazza, che ora chiede giustizia, ma soprattutto verità. La madre di Martina, Enza Cossentino, ha espresso pubblicamente il proprio strazio per il tragico avvenimento:

“Martina era bella come il sole e me l’ha spenta. Me l’ha uccisa. Amare è bello, però uccidere no. Voglio l’ergastolo, Dio perdona, io no, perché a mia figlia nessuno me la porterà indietro.”

Martina Carbonaro è l’ennesima giovanissima vittima di una folle violenza, di un sistema patriarcale ben radicato, l’ennesima ragazza che ha avuto il coraggio di scegliere sé stessa per prima e di terminare una relazione, dopo le prime manifestazioni di violenza da parte del suo fidanzato. Ma queste parole non bastano. Non bastano più perché Martina non deve essere solo “uno tra i tanti femminicidi”, ma deve divenire un simbolo, un grido collettivo, cambiamento per il futuro, un monito per tutti noi. Aveva un nome, un’età, dei sogni, ora infranti, dei timori, il diritto di vivere e non può valere così poco una vita umana.

Tra qualche anno chi si ricorderà di Martina? Solo i familiari o qualche amica? I giornali che ne parleranno in occasione del giorno dell’anniversario della sua morte?

Noi, invece, abbiamo il dovere di far sì che la sua voce, anche nel silenzio, continui a parlare perché ogni donna ha diritto di dire “no” e ogni vita merita indubbiamente rispetto, dignità e protezione.

Mai più vittime, mai più dimenticate perché d’amore si vive, non si muore.

Roberta De Rosa  – III E scientifico